venerdì 16 ottobre 2020

Festival del cinema spagnolo. Cinema Farnese, 4-6 ottobre 2020

Il tradizionale appuntamento con il festival del cinema spagnolo e latinoamericano è ospitato anche quest'anno - nonostante le misure anti-COVID - dal cinema Farnese e offre - come ogni anno - una panoramica molto interessante sul cinema di lingua spagnola, andando ben al di là di quello che la distribuzione riesce a portare nella programmazione ordinaria delle sale italiane. 

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Els dies que vindran

Il primo film che riesco a vedere è Els dies que vindran del regista catalano Carlos Marqués-Marcet, già noto al pubblico del festival per il precedente film presentato nell'ambito della stessa manifestazione, 10.000 km, che io però avevo perso.

Il focus di Marqués-Marcet è ancora una volta quello delle relazioni di coppia, in questo caso l'attenzione è rivolta al modo in cui una coppia, Vir (Maria Rodriguez Soto) e Lluís (David Verdaguer), affronta una gravidanza non programmata e come questi nove mesi di attesa impattano sulla relazione.

Vir e Lluís vivono insieme e sono una coppia felice: dopo un ritardo e un test di gravidanza, Vir scopre di essere incinta. La prima reazione dei due giovani è quella di scoppiare a ridere di fronte a qualcosa di più grande di loro e di non preventivato e rispetto al quale non sanno quale decisione prendere. Dopo qualche tentennamento, la coppia decide di portare avanti la gravidanza e di affrontare tutto quello che la scelta di avere un figlio porta con sé. Ci saranno momenti di condivisione e felicità, momento di allontanamento e incomprensione, schermaglie su piccole e grandi cose, scelte faticose e non sempre condivise, fino al momento tanto atteso del parto con tutta l'emozione che porta con sé e le aspettative di futuro sulla piccola Zoe.

Non c'è forse nulla di particolarmente originale nella storia raccontata da Carlos Marqués-Marcet, e personalmente faccio fatica a empatizzare con i sentimenti forti e controversi che attraversano due genitori e soprattutto una mamma durante l'attesa di un figlio. È però interessante da un lato la visione non edulcorata della gravidanza che il regista vuole portare all'attenzione del pubblico, e dall'altro l'inserto di realtà che caratterizza il film e che scaturisce dal fatto che l'attrice che intepreta Vir sia realmente incinta e l'attore che interpreta Lluís sia effettivamente il suo compagno, al punto da creare quasi un effetto docu-fiction.

Una nota di merito per la colonna sonora, quasi interamente catalana, in cui spicca la canzone Tú que vienes a rondarme di Maria Arnal sui titoli di coda.

Voto: 3/5 




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Tony driver

Ascanio Petrini ci racconta la storia di Pasquale Donatone, nato a Bari nel 1963 e trasferitosi a nove anni insieme alla famiglia a Chicago.

In America Pasquale si fa chiamare Tony, si sposa, ha due figli, si separa dalla moglie e si trasferisce a Yuma dove vive facendo il coyote tra il Messico e gli Stati Uniti per i migranti irregolari (e facendo dei trasporti di droga).

Tutto ciò fino a quando un giorno Pasquale viene arrestato e per non rimanere in galera accetta l'estradizione in Italia, paese di cui ha ancora la cittadinanza.

L'uomo torna così in provincia di Bari, dove vive in una roulotte e sbarca il lunario attaccando manifesti. Pasquale vuole però tornare in quella che considera la sua patria e, con l'aiuto di don Gaetano, dopo circa 5 anni di permanenza in Italia vola in Messico, a ridosso del muro che divide i due paesi, con l'intenzione di attraversare illegalmente il confine e ricostruire la propria vita.

Cosa ne sarà di Pasquale? Petrini ci lascia con questo interrogativo, essendo interessato non tanto alla narrazione, bensì da un lato all'originalità del personaggio e dall'altro alle contraddizioni delle politiche migratorie. Pasquale è un uomo spavaldo e volitivo, ma anche ingenuo, attento alla propria fisicità, molto simpatico, americano nel profondo, perfetto rappresentante di quel melting pot che ha fatto grande l'America, ma che l'America non considera parte del suo corpo sociale.

Un film che ci dà l'occasione di conoscere e approfondire senza pregiudizi un uomo e la sua storia, ma anche di interrogarsi su cosa significhi appartenere a un luogo ma esserne espulsi come estranei.

Voto: 3,5/5 

 


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O que arde

O che arde è il film del talentuoso regista francese di origini galiziane, Oliver Laxe, che già si era fatto notare alla critica cinematografica con alcuni suoi lavori precedenti.

Il suo nuovo film, tutto recitato in galiziano, ha fatto incetta di premi in Spagna, dopo aver vinto il Premio della giuria nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes del 2019, e così io e F. siamo arrivate al cinema piene di aspettative.

La storia è quella di un uomo, Amador (Amador Arias), che - una volta uscito di prigione dove ha scontato una pena per aver appiccato un incendio - torna a casa della madre (Benedicta Sanchez), una donna anziana che vive in una casa in pietra sprofondata tra le montagne e i boschi della Galizia occupandosi delle sue tre mucche e dell'orto.

Il reinserimento di Amador in questa comunità molto rude e di pochissime parole, i cui ritmi sono ancora dettati da quelli della natura - anche se qualche segnale di cambiamento e di rottura comincia a manifestarsi -, sarà lento e non certo facile, e i fragili equilibri che a poco a poco si vanno ricostituendo saranno mandati all'aria dal divampare - all'arrivo dell'estate - di un nuovo, enorme incendio che manda in fumo decine di ettari di foresta e mette a rischio la vita delle persone.

Il film di Laxe lavora per sottrazione, asciugando al massimo le parole e la trama narrativa, e puntando sulla forza delle immagini, alcune delle quali - penso in particolare alla sequenza iniziale con l'abbattimento degli eucalipti da parte delle ruspe ovvero al grande incendio nel bosco - sono effettivamente grandiose, e vanno decisamente al di là di un girato documentaristico fino a sfiorare il poetico e l'aulico.

Alla fine però allo spettatore comune (nel quale fondamentalmente mi riconosco) restano molti interrogativi e forse sfugge anche in parte il senso dell'intera operazione. Forse ero particolarmente stanca, oppure semplicemente è il tipo di film con cui non riesco a entrare del tutto in sintonia, soprattutto perché sui titoli di coda non riesco a trovare una qualche risposta alla domanda: "Cos'avrà voluto dirmi?".

Voto: 3/5


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