Il film di Chaitanya Tamhane che ha vinto il Premio per la miglior sceneggiatura e il Premio FIPRESCI a Venezia è la storia di Sharad Nerulkar, che fin da bambino ha sviluppato la passione per la musica classica indiana e coltiva il sogno di diventarne un grande interprete.
Il film si sviluppa su tre piani temporali, Sharad bambino che apprende dal padre i rudimenti della musica classica e ne eredita la passione, Sharad giovane che si mette al seguito di un anziano guru con l'obiettivo di eccellere nella musica indostan, Sharan uomo di mezza età che deve fare i conti con le disillusioni rispetto ai propri sogni.
Il regista sceglie di muoversi liberamente tra questi piani temporali, andando avanti e indietro nel tempo e rivelando in maniera originale l'evoluzione del suo protagonista, ossessionato dal perseguimento dell'obiettivo, concentrato quasi onanisticamente sulla realizzazione del suo sogno a scapito di ogni altro aspetto della vita, ma costretto a poco a poco a prendere atto dei limiti suoi e del contesto.
Sharad - anche attraverso le critiche del suo maestro, nei confronti del quale mantiene un rapporto di deferenza filiale - comprende e accetta che impegno e volontà non sono sufficienti per realizzare i sogni, perché altrettanto importanti e determinanti sono il talento e le condizioni esterne.
Da un lato una società che trasforma anche raffinate voci classiche in popstar dei programmi televisivi, dall'altro lo standard altissimo che Sharad si impone fanno sì che, arrivato alla mezza età, il nostro protagonista decida di spostare parte delle sue energie sulla costruzione di una famiglia e di trasformare il suo amore per la musica indostan in azione di preservazione di questa tradizione attraverso la promozione delle opere dei maestri più celebri e acclamati.
Il film di Tamhane è originale e coraggioso, e certamente getta luce su qualcosa di molto lontano dalla nostra cultura, ossia la musica classica indiana, ma soprattutto su un approccio individuale e sociale al raggiungimento dei propri obiettivi che non sentiamo del tutto nostro.
Nonostante le lunghe sequenze di musica e canto indostan che personalmente non hanno contribuito a tenere desta la mia attenzione, The disciple riesce ad andare al di là dello specifico sociale e culturale e a parlare anche a chi, pur appartenendo ad altre culture, ha vissuto nella vita l'esperienza di perseguire con grande volontà un sogno ma ha dovuto a un certo punto rinunciarvi o cambiare almeno parzialmente obiettivo.
Voto: 3/5
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!