mercoledì 17 dicembre 2025

Rome International Documentary Festival: One more show; When I came to your door; La dernière rive

Ed eccomi anche alla mia prima volta al Rome International Documentary Festival (RIDF), il festival del documentario che quest’anno si è svolto dall’1 al 5 dicembre al Cinema Tibur, lo storico cinema del quartiere San Lorenzo.

L’atmosfera è piena di energia e di caos creativo; io riesco a vedere solo un paio di film, però l’esperienza è decisamente positiva.

********************
One more show


A questo film tenevo in modo particolare e lo avevo puntato fin da quando avevo avuto modo di guardare il programma del festival: racconta del Free Gaza Circus, un gruppo di circensi che girano per le strada di Gaza portando i loro spettacoli a beneficio di bambini e adulti. La regista egiziana Mai Saad, presente in sala, dopo l’inizio della guerra a Gaza voleva raccontare della vita nella striscia; dopo essere entrata in contatto con il Free Gaza Circus aveva deciso di fare un film su di loro. Questo progetto si è realizzato grazie al co-regista palestinese Ahmed Al-Danaf, che è stato colui che nel luglio del 2024 ha seguito per diverse settimane i componenti del circo nelle loro giornate, nei momenti di relax, in quelli di preparazione, durante gli spettacoli, negli spostamenti e ne ha registrato la vita e le conversazioni.

Da questo preziosissimo girato, realizzato in condizioni difficili, ma decisamente migliori di quelle di là da venire nei mesi successivi, è venuto fuori un film che non è soltanto una delle tante testimonianze sulla vita a Gaza, bensì è anche e soprattutto il racconto dello spirito di una popolazione intera, che è fatto di una resilienza e di una vitalità straordinarie.

La forza del film di Saad e Al-Danaf sta proprio nel non concentrarsi sulla guerra, che inevitabilmente è onnipresente – nei discorsi dei protagonisti come nelle immagini delle distese di macerie – ma sulla vita quotidiana, sulla ricerca di una normalità difficile se non impossibile, sul bisogno ineludibile di futuro.

Sulle pagine social del Free Gaza Circus non ci sono notizie recenti delle loro attività: a distanza di un anno e mezzo dal film non so quale sia la loro situazione. Mi piace sperare e pensare che questi ragazzi siano ancora in mezzo alle strade a provare a regalare ai bambini un momento di felicità.

Voto: 4/5

********************
When I came to your door


Il cortometraggio del regista, nonché architetto, italiano Antonio Paoletti nasce dalla sua esperienza professionale ad Addis Ababa, e vuole essere una riflessione sul profondo stravolgimento del paesaggio e del contesto sociale prodotto dall’abbattimento dei villaggi e dall’espansione quasi incontrollata dei grandi quartieri abitativi, fatti di palazzi e condomini. Per raccontare questo processo Paoletti prende spunto da una lettera trovata in mezzo alle macerie di un villaggio nel quale una giovane donna scrive al proprio fidanzato, con cui sembra avere un appuntamento ma che non riesce a trovare, in quanto non riconosce più le strade della città, ormai completamente trasformate dagli interventi urbanistici. Mentre il testo della lettera viene letto, sullo sfondo scorrono le immagini dei resti del villaggio e degli oggetti qui abbandonati che infine si aprono su cantieri mostruosamente grandi e impersonali.

Interessante, nonostante una colonna sonora forse un po’ troppo enfatica e invasiva.

Voto: 3/5



********************
La dernière rive


Nella stessa serata, subito dopo il cortometraggio When I came to your door, viene proiettato il documentario del regista belga Jean-François Ravagnan, La dernière rive, che prende spunto da un piccolo video del 2017, ambientato a Venezia, in cui si vede un ragazzo nero in un canale, mentre accanto gli passa un vaporetto e dalla riva alcune persone commentano la scena. Qualcuno ride, qualcuno gli lancia dei salvagenti, mentre rapidamente il ragazzo viene inghiottito dall’acqua e muore.

Ravagnan decide di fare un viaggio nel tempo e nello spazio, andando alla ricerca della famiglia di Pateh Sabally, in Gambia, il paese dal quale era emigrato alcuni anni prima. Attraverso le immagini dei luoghi di origine e le parole di suo padre, di sua madre e di suo fratello, conosciamo il mondo di Pateh e il suo percorso fino a quella tragica giornata.

Non tutte le domande trovano risposta: molte probabilmente sono state inghiottite come lui dalle acque di Venezia. Quel che è sicuro è che qualcosa si è spezzato nella vita di questo ragazzo, che come molti altri ha provato a inseguire una vita migliore in Europa, ma ha dovuto prima affrontare l’incubo del viaggio e poi l’incubo ancora peggiore di una realtà umana e lavorativa molto diversa da quella che si aspettava.

Il film di Ravagnan si concentra però – a differenza di molti altri che affrontano questo tipo di storie – non tanto sulle vicende di Pateh dopo la sua partenza dal Gambia, bensì sul mondo dal quale proveniva, che è il vero oggetto di osservazione del regista, un mondo sicuramente povero e arcaico, ma ricco di una dignità e di una spiritualità profonde. A noi dunque tutte le riflessioni che ne possono conseguire, senza alcuna risposta preconfezionata.

Voto: 3/5

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!