lunedì 9 settembre 2019

L'ospite

Inauguro la stagione cinematografica dopo la tutto sommato breve pausa estiva con questo bel film di Duccio Chiarini, che con questa sceneggiatura - scritta insieme a Davide Lantieri e Roan Johnson con il titolo I divani degli altri - è stato finalista nel 2011 al Premio Solinas.

Il testo - come spesso accade nel mondo del cinema - ci ha messo parecchi anni a trasformarsi in film e ad arrivare nelle sale cinematografiche, ma finalmente eccolo qui, impreziosito dalle belle interpretazioni di Daniele Parisi e Silvia D'Amico, già protagonisti di quel piccolo cult che è diventato Orecchie.

L'ospite è la storia di Guido (Daniele Parisi) che ha circa quarant'anni, vive con la sua compagna Chiara (Silvia D'Amico) e collabora con una professoressa universitaria che gli promette da anni la pubblicazione di un saggio e un assegno di ricerca che non arrivano. Questo mondo già di per sé precario esplode quando, dopo un rapporto sessuale, a causa della rottura di un preservativo c'è il rischio che Chiara sia rimasta incinta.

Di fronte a questa possibilità Guido e Chiara reagiscono in modo diverso: mentre il primo è più possibilista e in fondo fatalista, Chiara vede nella nascita di un figlio la fine delle sue possibilità di realizzarsi, lei che ha dovuto ripiegare su un lavoro da guida turistica per sbarcare il lunario. Il rapporto tra i due va in crisi e, per mettere un po' di distanza tra loro, Guido decide di andare via di casa appoggiandosi di volta in volta dai suoi genitori (conflittuali ma insieme da una vita) oppure dagli amici Lucia (sposata, con un figlio e in attesa di un secondo bambino) e Pietro (che passa da una fidanzata all'altra senza sosta).

Guido si trova così a oltrepassare la linea di confine che ci tiene a una distanza di sicurezza dalle vite degli altri, bucando la soglia dell'intimità altrui e accorgendosi che intorno a lui non c'è nulla che assomigli a una stabilità affettiva serena: il rapporto tra i genitori è turbolento ma essi appartengono a una generazione abituata "a mettere le toppe" e a superare i problemi, gli amici suoi coetanei - che abbiano o meno costruito una famiglia - sembrano non trovare pace in un turbinio di sentimenti in cui fanno fatica a distinguere tra quelli passeggeri e quelli che non lo sono e che in ogni caso non sanno come gestire all'interno della coppia.

Dentro una confezione in forma di commedia ironica e divertente, Duccio Chiarini ci propone un semiserio trattato di sociologia che sembra affondare le sue radici direttamente nelle riflessioni del grande Zygmunt Bauman, in particolare nel suo Amore liquido.

In un processo di precarizzazione spinta delle proprie vite, qui magistralmente sintetizzato attraverso la metafora del divano, protagonista della locandina e dell'ultima scena del film, la generazione dei trenta-quarantenni - oggetto tra l'altro di molti testi letterari, teatrali e per il cinema - da un lato vive in uno stato di incertezza costante e di impossibilità di programmare il futuro, dall'altro è terrorizzata dalla possibilità che la propria vita si cristallizzi in un senso o in un altro. In questo eterno movimento, temuto e perseguito più o meno inconsciamente, l'inseguimento della "felicità" è un imperativo talvolta male interpretato o comunque difficile da interpretare.

Come canta Brunori Sas nella canzone che interpreta dal vivo nel film, Un errore di distrazione, «Un giorno capirai che non c’era niente da cambiare / non c’era niente da rifare / bastava solo aver pazienza e aspettare che le cose che ogni cosa si aggiustasse da sé. Quel giorno capirai che la passione ha una scadenza che è soltanto una scemenza cercare il cielo in una stanza / ma ti piacciono le favole / è più forte di te».

Nella consapevolezza sempre più forte che l'amore ha una scadenza e che gli argini sociali che ne garantivano la sopravvivenza sono sempre più labili, la domanda che resta sospesa è come affrontare questa verità e dunque come vivere i rapporti di coppia. Senza dubbio in questo momento è un gran casino, in cui nessuno ci capisce niente e ha una valida strategia, ma forse - come dice Chiarini - è una fase di transizione tra il modo di vivere l'amore dei nostri genitori e quello che sarà il modo di viverlo dei nostri nipoti o pronipoti e che forse non riusciamo nemmeno a immaginare. Oppure è un gran casino e basta, e non se ne esce perché il modo in cui siamo fisiologicamente fatti va in contrasto non solo con il nostro sistema sociale ma anche con alcuni nostri bisogni emotivi. Come dico io, c'è qualcosa che deve non aver funzionato alla perfezione nel nostro percorso evolutivo ;-)

Voto: 3,5/5

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