A completamento del mio personale percorso nella rassegna Da Venezia a Roma, vado a vedere l'ultimo film di Robert Guédiguian, Gloria mundi, il cui titolo completo sarebbe in realtà (sic transit) gloria mundi. Il titolo è già tutto un programma dell'approccio profondamente pessimistico che sta alla base di questo film, che il regista - a mio modo di vedere - struttura come una specie di tragedia classica traslata su un tempo presente rispetto al quale c'è ben poco da stare allegri.
La lettura del film di Guédiguian come una tragedia classica in chiave moderna risulta secondo me evidente nell'epilogo in cui - di fronte all'evento che costituisce l'inevitabile esito del climax narrativo ed emotivo fin lì sviluppatosi - tutti i personaggi sono riuniti in un solo luogo, ognuno con le proprie reazioni di fronte a quanto accaduto, quasi a formare un coro o a comporre un polittico.
Questa lettura consente inoltre di attenuare il giudizio critico che è stato espresso da più parti nei confronti dell'impianto piuttosto didascalico della narrazione e del carattere un po' stereotipato e monodimensionale dei personaggi, prerogative queste piuttosto tipiche dell'impianto tradizionale della tragedia classica.
Ciò detto, è piuttosto evidente che, nonostante le lodevoli intenzioni, il risultato non sia perfettamente riuscito, forse perché noi uomini postmoderni di fronte a un sovraccarico tematico ed emotivo eccessivo, come in questo caso, tendiamo a reagire con una buona dose di cinismo.
Protagonista silenziosa di questo film è la Gloria richiamata nel titolo: è infatti con la nascita di questa bambina che il plot narrativo prende le mosse. Gloria è figlia di Mathilda (Anaïs Demoustier) e di Nicolas (Robinson Stévenin). Mathilda è a sua volta la figlia di Sylvie (Ariane Ascaride, vincitrice a Venezia della Coppa Volpi con un'interpretazione molto equilibrata) e di Daniel (Gérard Meylan, l'attore feticcio di Guédiguian), che però è in prigione a Rennes per un episodio avvenuto in gioventù. Nel frattempo Sylvie si è sposata con Richard (Jean-Pierre Darroussin), da cui ha avuto una seconda figlia, Aurore (Lola Naymark), che è fidanzata con Bruno (Grégoire Leprince-Ringuet).
Quando Daniel esce di prigione, avendo saputo di essere diventato nonno, torna da Sylvie e da sua figlia per conoscere Gloria. Qui trova una situazione difficile: Sylvie e Richard lavorano rispettivamente come donna delle pulizie e autista dell'autobus in turni opposti e riescono a malapena a garantirsi una vita dignitosa; Mathilda lavora come commessa in prova e Nicolas fa l'autista per Uber, ma i loro lavori oltre che poco redditizi sono molto precari e appesi a un filo. Gli unici che vivono agiatamente sono Aurore e Bruno che gestiscono una specie di moderno banco dei pegni dove acquistano a pochi euro quello che la gente vende perché ha bisogno di contanti, lo fanno sistemare o riparare da operai in nero e lo rivendono a un prezzo di gran lunga superiore.
Tutto questo avviene sullo sfondo di una città, Marsiglia, attraversata da profonde tensioni e contraddizioni: da un lato si interviene pesantemente a cambiare il volto e a intaccare anche l'anima della città, riempiendola di nuovi grattacieli e riqualificando in modo talvolta poco rispettoso le aree del centro, come il Vecchio Porto, dall'altro le periferie continuano a essere abbandonate a sé stesse; i militari occupano molte parti della città per il pericolo terrorismo, mentre poveri e immigrati creano veri e propri accampamenti dove poter vivere.
In questo contesto sociale ed economico, in cui vige la legge del più forte e in cui si innesca una vera e propria guerra tra poveri, categoria cui ormai appartengono indistintamente francesi e immigrati, ciò che viene dolorosamente sacrificato e continuamente calpestato sono le vite e la dignità delle persone, inevitabilmente ridotte alla disperazione e disposte a fare qualunque cosa per sopravvive, mentre chi si arricchisce lo fa sempre di più senza alcuno scrupolo morale.
Il Ken Loach francese disegna un quadro a tinte fosche della contemporaneità, rappresentando una spirale distruttiva nella quale dimensione personale e sociale contribuiscono entrambe alla decadenza di un'intera civiltà.
Quello di Guédiguian è evidentemente un grido di dolore che nasce da uno specifico luogo, una città, quella Marsiglia ch'egli ama molto e che probabilmente non riconosce più, e si allarga a una società intera il cui funzionamento, sotto la falsa promessa di opportunità a disposizione di tutti, polarizza i guadagni e distrugge le vite.
La speranza di futuro normalmente associata a una nuova vita è qui capovolta in assenza di prospettive, e viene inevitabilmente da chiedersi quale futuro stiamo preparando per tutte le Gloria del mondo.
E forse, come il suo protagonista Daniel, anche il regista preferisce la privazione della libertà del carcere alla libertà solo apparente che la nostra società ci offre.
Voto: 3,5/5
domenica 29 settembre 2019
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Condivido il giudizio: è uno dei film più deboli di Guediguian, nonostante il premio a Venezia (che avrebbe meritato invece lo scorso anno con il bellissimo "La casa sul mare"). Molto stereotipato e anche piuttosto retorico, si salvano più che altro le interpretazioni degli attori.
RispondiEliminaNon ho visto il film dell'anno scorso, spero di recuperarlo. Diciamo che Gloria mundi è un film dalle ottime intenzioni, ma non pienamente riuscito a livello di realizzazione... Comunque Guédiguian resta un regista interessante e da seguire.
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