Sempre nell'ambito della rassegna Da Venezia a Roma, io e F. andiamo a vedere questo film libanese, Jeedar El Sot, reso in inglese con All this victory e che - come ci dice il critico cinematografico che presenta il film al Nuovo Olimpia - in italiano potrebbe diventare La vittoria di Pirro.
Il film ha vinto il Premio Circolo del Cinema della 34. Settimana Internazionale della Critica, nonché il Premio Mario Serandrei, Hotel Saturnia & International per il Miglior Contributo Tecnico alla 76ma Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Siamo nel luglio del 2006, durante il periodo della ripresa degli scontri tra esercito israeliano e Hezbollah nei territori del Sud del Libano, seguito alla prima guerra israelo-libanese del 1982.
Durante una tregua della guerra, Marwan decide di andare verso il sud del paese per convincere il padre a seguirlo a Beirut. Quando arriva nel paese del padre, intorno a lui ci sono solo distruzione e macerie, e mentre lo cerca i bombardamenti ricominciano. Marwan si rifugia così in una casa insieme a due anziani libanesi, entrambi ex combattenti durante la prima guerra. Dopo poco arrivano in casa anche un uomo e sua moglie, intenzionati a fuggire dal Sud.
L'arrivo di un manipolo di soldati israeliani che si installano al piano di sopra della casa rende la situazione ancora più surreale e tesa. Ora i cinque libanesi non solo devo difendersi dai bombardamenti sulla zona, ma devono occultare la loro presenza ai soldati e difendersi dal fuoco amico dei miliziani che non sanno della loro presenza.
Il film di Ahmad Ghossein mi ha riportato inevitabilmente alla mente il film di Philippe Van Leeuw, Insyriated, che avevo visto più di un anno fa e che raccontava - pur in un contesto e circostanze diverse - una situazione simile, quella di una famiglia (allargata) assediata in casa a causa dei bombardamenti e dei cecchini sempre all'erta.
Mentre nel film di Van Leeuw gli abitanti della casa cercano - ognuno a suo modo - di far finta che la vita all'interno delle pareti domestiche continui come al solito, in All this victory i protagonisti, di fronte all'assedio e alla paura di morire, vanno incontro a una escalation emotiva che determina comportamenti che oscillano tra l'eroico e l'irrazionale.
Si conferma - come già avevo avuto modo di osservare alla fine della visione di Insyriated - che questo modo di raccontare la guerra è persino più efficace che mostrare conflitti a fuoco e distruzioni in maniera esplicita, perché ciò che fa della guerra quella cosa orribile che andrebbe cancellata dalla faccia della terra è la condizione di terrore costante e la disumanizzazione che produce nelle persone che vi si trovano - a vario titolo - coinvolte.
Il regista Ghossein sceglie di non spiegare il contesto e di non fornire dettagli sui protagonisti di questa vicenda, lasciando allo spettatore la necessità da un lato di informarsi, dall'altro di intuire e ricostruire sulla base degli indizi. Questa componente indefinita e sospesa è forse anche lo strumento ch'egli utilizza per far passare l'idea che quello che sta raccontando non è un momento storico concluso, bensì una condizione che riguarda ancora l'attualità del suo paese.
Il titolo All this victory (La vittoria di Pirro) è poi la sua dichiarazione politica dell'inutilità di un conflitto in cui non ci sono vincitori, ma solo vinti.
Voto: 3,5/5
mercoledì 25 settembre 2019
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