Molti mesi fa avevo comprato il biglietto per il concerto dei Black Country, New Road ai Magazzini generali di Milano, perché da tempo seguo questo interessante gruppo inglese e avevo letto che l’esperienza dal vivo nel loro caso vale davvero la pena.
Considerato che a Roma ormai arrivano sempre meno i tour dei musicisti che mi interessano, ho pensato che non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione.
E così quando è arrivato il momento, nonostante un periodo decisamente pieno di impegni, ho deciso di partire per Milano e di approfittare della trasferta non solo per partecipare al concerto, ma anche per sfruttare l’offerta milanese di attività culturali, e non solo.
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La Fondazione Prada e la mostra di Iñárritu
Il sabato pomeriggio, approfittando del fatto che ho l’alloggio in zona, vado a visitare la Fondazione Prada, di cui ho sentito molto parlare, ma dove non sono ancora stata.
Alla biglietteria mi consigliano di andare prima a visitare la torre, ossia l’edificio di nuova costruzione che è andato a innestarsi sull’insieme di edifici industriali che compongono il complesso architettonico.
Alla torre c’è una mostra che si chiama Atlas: io attraverso tutti i piani, apprezzo alcune opere, ma soprattutto apprezzo le pareti a vetri e la vista dall’alto di questa interessante porzione di città.
Tornando all’edificio dove si trova la biglietteria, il Podium, che sta di fronte alla biblioteca e al bar, vado a visitare la mostra Sueño Perro: Instalación Celuloide de Alejandro G. Iñárritu, che era quella che mi attirava di più. Questa mostra nasce dalla scoperta da parte del regista messicano che, dopo la realizzazione del suo famoso film Amores perros, i trecento chilometri di pellicola scartati sono stati conservati dall’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM). Il regista ha dunque deciso di dare una seconda vita a queste pellicole dimenticate, proiettandole nelle sale del Podium tramite grandi proiettori che mostrano lo srotolarsi della pellicola e che assumono un’atmosfera particolare grazie al fascio di luce che squarcia il buio delle sale. Ne viene fuori per lo spettatore un’esperienza davvero particolare, non solo visiva, ma anche sonora e tattile. Personalmente l’ho trovata molto affascinante.
Al piano di sopra dello stesso spazio espositivo c’è la mostra – primariamente fotografica - Mexico 2000: The Moment that Exploded con cui lo scrittore e giornalista messicano Juan Villoro mette in relazione il film di Iñárritu, uscito nel 2000, con la situazione politico-sociale del Messico in quel periodo, che rappresentò per il paese non l’inizio di una nuova era di democrazia, ma l’inizio di un tracollo che è ancora in corso.
Diciamo che probabilmente c’erano altri spazi e mostre da esplorare ma la Fondazione stava per chiudere e io dovevo rientrare per il concerto della sera. Comunque ci sarà certamente occasione di tornarci.
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Black country, new road ai Magazzini generali
L’orario di inizio del concerto dei Black Country, New Road indicato sul biglietto è le 20.00, che è uno strano orario perché nella mia ottica romana non è né un concerto presto né un concerto al solito orario. Nell’idea, anche questa molto romana, che sia solo un orario indicativo, vado ai Magazzini generali alle 20 esatte, ma a quell’ora non solo c’è la fila fuori, ma un sacco di gente è già entrata. Scopro tra l’altro che ai Magazzini generali non fanno portare e usare le macchine fotografiche (che rottura di scatole!) e dunque quando entro devo pure pagare due quote del guardaroba per la macchina fotografica e la giacca. In più cerco di avanzare tra la folla, ma sono oltre metà sala con un sacco di persone alte davanti a me, e vedo che sui ballatoi non c’è nessuno quindi ipotizzo che non ci si possa andare. Peccato che, solo quando la sala si riempie, facciano salire sui ballatoi e così chi è arrivato molto dopo di me ha probabilmente una visuale molto migliore della mia.
Tra l’altro quando arrivo sta già suonando un gruppo, formato da tre ragazzi e una ragazza, un classico gruppo indie rock, che però non so chi siano, posso solo immaginare che si tratti del gruppo spalla dei Black Country, New Road. Scoprirò solo dopo che si tratta dei Westside cowboys, la cui musica – devo ammettere – mi lascia parecchio indifferente, fors’anche perché sono infastidita dall’organizzazione del concerto in questo locale (molto, ma molto meglio il Monk!).
Comunque, quando sul palco arrivano i Black Country, New Road la musica cambia completamente e in tutti i sensi. Il gruppo è al gran completo con i suoi sei componenti, Tyler Hyde (basso), Lewis Evans (sassofono), Georgia Ellery (violino), May Kershaw (tastiere), Charlie Wayne (batteria) e Luke Mark (chitarra), disposti su due file, in prima fila le donne – protagoniste assolute dell’ultimo album, Forever Howlong – in seconda fila gli uomini.
Il concerto è in buona parte dedicato all’ultimo album che il gruppo suona quasi per intero, con un’unica pausa che è dedicata alla cover della canzone The ballad of El Goodo dei Big Star.
Mentre li ascolto e mi guardo intorno – ci sono ragazzi giovanissimi, ma anche persone di una certa età, e tutti sembrano pazzi della loro musica, che pure non si può dire veramente mainstream – capisco cosa hanno di speciale e di magnetico questi musicisti, ossia degli arrangiamenti davvero molto belli e particolari, direi quasi orchestrali, che fanno vivere il concerto come fosse non un insieme di pezzi, ma quasi un tutt’uno, una specie di musical.
Inoltre, nella loro musica c’è un mix di contemporaneo e di retrò che la rende particolare e forse anche per questo apprezzabile da persone provenienti da mondi musicali diversi.
Alla fine di questa ora e mezza abbondante di musica, i BC,NR annunciano che non fanno bis e che stanno per suonare l’ultima canzone, così – anche se il pubblico avrebbe voluto che il concerto proseguisse ancora (ma questo direi che è quasi la norma) – i musicisti ci salutano con un "arrivederci, a presto".
Bel concerto, nonostante i Magazzini generali.
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Hangar Bicocca e la mostra di Nan Goldin
L’ultima mattina del mio weekend milanese è dedicata alla visita ad Hangar Bicocca, un luogo che da tempo volevo visitare, e che in questo caso mi attira particolarmente visto che è in programma una retrospettiva su Nan Goldin, fotografa che ho conosciuto e apprezzato solo dopo aver visto il film vincitore qualche anno fa a Venezia All the beauty and the bloodshed.
La mostra in programmazione ad Hangar Bicocca, spazio espositivo molto interessante anche di per sé stesso, è intitolata This will not end well ed è una retrospettiva importante dedicata all’attività di Nan Goldin come filmmaker e artista multimediale. La mostra arriva a Milano dopo Stoccolma, Amsterdam e Berlino, e proseguirà verso Parigi, e si compone di 8 tra slideshow e video.
Lo slideshow, come avevo imparato nel summenzionato film, è una delle forme più tipiche di espressione di Nan Goldin, una strada intermedia tra il mezzo fotografico (inevitabilmente statico e più destinato all’osservazione attenta) e l’opera filmica vera e propria fatta di immagini in movimento. In questo caso, abbiamo immagini statiche che scorrono secondo una sequenza definita dall’artista e accompagnate da una colonna sonora, valorizzando dunque la forza narrativa delle immagini.
Il più famoso di questi slideshow della Goldin è The ballad of sexual dependency, che per la mostra in questione l’artista ha aggiornato e in parte rimontato.
Oltre a questo, in mostra ci sono altri 4 slideshow, Memory lost, Fire Leap, The other side e Stendhal Syndrome, e 3 video, due monocanale (Sirens e You Never Did Anything Wrong) e uno a tre canali con una installazione scultorea, dal titolo Sisters, Saint, Sibyls.
Ciascuna di queste proiezioni occupa un padiglione progettato appositamente dall’architetta Hala Wardé in collaborazione con la stessa Goldin, al fine di creare uno spazio che dialoghi con i contenuti proiettati.
Si consideri che per vedere l’intera mostra sono necessarie più di tre ore, perché le proiezioni possono durare ciascuna fino a 40 minuti. Io che avevo circa un’ora e mezzo di tempo, ho potuto vedere con calma solo The ballad of sexual dependency e Sisters, Saints, Sybils, quindi l’inizio e la fine, accomunate dalla dedica alla sorella di Nan, Barbara, morta suicida in un istituto psichiatrico.
L’universo di Nan Goldin – come sa chi ha visto il film – non è certo un universo spensierato e risolto, e non si può dire che si esca dalla mostra con l’animo sollevato, eppure la sua opera comunica una vitalità, una forza ed una energia davvero notevoli che meritano un’adesione emotiva e spirituale.
Da non perdere, ed eventualmente da andarci in più volte, visto che l’ingresso è gratuito.
venerdì 28 novembre 2025
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