Siamo in un piccolo villaggio della Macedonia del Nord. Ahmet (Arif Jakup) vive con il padre e con il fratello Naim (Agush Agushev) in una fattoria piuttosto isolata, ai margini del bosco.
Da quando la madre è morta, la vita di questa famiglia è molto cambiata: Ahmet deve rinunciare alla scuola per occuparsi del gregge di pecore del padre e della vendita del tabacco, Naim non parla più, quasi fosse sotto un maleficio, e il padre si è ulteriormente indurito nella gestione della casa e dei figli.
L’andamento della narrazione prende però una direzione inaspettata quando nel villaggio arriva Aya (Dora Akan Zlatanova), una ragazza della stessa età di Ahmet, che ha vissuto in Germania ma che ora la famiglia vuole che sposi un ragazzo del luogo.
Accomunati dalla passione per la musica, tra Ahmet e Aya nasce un sentimento che spingerà il primo a giocarsi il tutto per tutto pur di salvare la ragazza amata da un futuro che non vuole.
Nel film di Georgi M. Unkovski non c’è niente di veramente sorprendente: lo scontro generazionale, così come quello tra tradizione e modernità viaggiano su binari abbastanza prevedibili - la tecnologia, la musica, gli abiti, lo stile di vita - ma in questo specifico coming of age acquistano un sapore e una freschezza particolari grazie al contesto e ad alcune trovate registiche (il coro delle donne del villaggio che si incontrano sotto l’albero, la foresta come luogo del proibito e della trasgressione, la pecora fucsia, gli altoparlanti della moschea da cui esce il suono di accensione di Windows), nonché grazie a dei protagonisti con facce poco standardizzate e ricche di sfumature.
E poi l’elemento musicale che si insinua a più riprese e che in un certo senso è il deus ex machina del racconto fa il resto.
Si esce con il cuore malinconico e contento, pensando a quanta parte di mondo – anche vicino a noi – ha ancora bisogno di affrancarsi dai lacci e laccioli della religione e delle tradizioni.
Voto: 3,5/5
domenica 16 novembre 2025
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