domenica 2 novembre 2025

Festa del cinema di Roma, 15-26 ottobre 2025 (Prima parte)

Sempre un po’ più insofferente rispetto al costo dei biglietti e alla necessità - almeno per alcuni film - di farli nelle primissime ore dall’apertura della biglietteria online (con il suo sistema demenziale di assegnazione dei posti e la commissione assurda per ogni biglietto fatto), eccomi comunque e sempre alla festa del cinema di Roma, anche quest’anno.

Come lo scorso anno, ho fatto una scelta che potesse comprendere sia film più mainstream – destinati a uscire in sala – sia film maggiormente di nicchia che forse in sala non vedremo mai, e ho preferito – esattamente come l’anno scorso – le proiezioni all’auditorium, in particolare in sala Borgna, per respirare un po’ di atmosfera del festival, senza spendere delle cifre assurde.

Alla fine sono riuscita a vedere parecchi film (15 in tutto), uscendo sfiancata ma felice da questa intensissima settimana di cinema.

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Hedda

La festa del cinema si apre con la consegna da parte di Paola Malanga alla regista newyorkese Nia DaCosta del Premio Progressive Cinema alla carriera, con tanto di motivazione articolata e dettagliata. Personalmente non conoscevo il cinema di Nia DaCosta, né lei come regista, ma comprendo da questa presentazione che trattasi di regista e sceneggiatrice eclettica che non ha paura di cambiare e di osare.

Così dopo un horror e un film dell’universo Marvel, con Hedda eccola alle prese con Hibsen. Non conoscevo il dramma di Hibsen, Hedda Gabler, da cui è tratto il film e dunque per curiosità sono andata a rileggermi a posteriori la trama, e mi ha colpito molto il fatto che, dentro un impianto narrativo sostanzialmente rispettato, la DaCosta abbia introdotto varianti che apportano non solo modernità ma anche livelli di lettura ulteriori, dal cambio di genere o del colore della pelle di alcuni dei protagonisti all’uso del tema “sesso” come elemento catalizzatore o attivatore.

La storia è quella di Hedda Gabler (Tessa Thompson), una donna ambiziosa che ha sposato un uomo affettuoso, ma fin troppo mite, che aspira alla carriera accademica. I due decidono di dare una grande festa nella casa di campagna che non sanno se potranno mantenere, e durante questa festa gli eventi precipiteranno a causa di vecchie passioni, di rancori mai sopiti e di rivalità emergenti.

Il film di Nia DaCosta attinge a un’estetica classica e pop insieme, cui conferisce un approccio postmoderno, anche grazie all’uso di una colonna sonora cronologicamente dissonante. Da diversi punti di vista, quello estetico primariamente, ma anche quello dei contenuti, in particolare nella scelta di una protagonista con un approccio seduttivo e senza scrupoli, che utilizza il sesso come strumento di manipolazione, mi ha ricordato un film visto proprio alla festa del cinema nel 2023, ossia Saltburn di Emerald Fennell.

E forse per questo motivo l’operazione non mi è sembrata così originale e dirompente come avrebbe potuto essere, pur trattandosi di un film sicuramente ben fatto e di qualità.

Voto: 3/5



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Yes


Una volta fatta la tara della inutile polemica che ha accompagnato la presenza di questo film e del suo regista e parte del cast alla Festa del cinema di Roma, polemica che dimostra ignoranza e intolleranza in pari grado, passo a parlare di Yes, film sorprendente e imprevedibile, almeno per me che poco conoscevo della carriera cinematografica fin qui di Nadav Lapid.

Il film racconta la storia di Y (Ariel Bronz) e di Yasmin (Efrat Dor), una coppia con figlio piccolo che vive a Tel Aviv, lui un mediocre pianista, lei una ballerina; insieme integrano i loro magri guadagni esibendosi nelle feste dei ricconi ebrei e offrendo i loro corpi e le loro prestazioni sessuali per soddisfare i desideri più o meno assurdi di una borghesia annoiata. In un’atmosfera surreale e grottesca che un po’ mi ha fatto pensare a Triangle of sadness di Östlund, i personaggi si muovono in uno stato di esaltazione alternato a momenti di depressione, una specie di bipolarismo folle e senza soluzione.

La deflagrazione di questa condizione – già di per sé assurda – arriva quando a Y viene offerto di musicare un nuovo inno nazionale israeliano che chiama alla distruzione di Gaza, e l’uomo si trova lacerato tra l’irricevibilità morale di questo incarico e la tentazione di fregarsene degli scrupoli morali e intascare i soldi. In questa condizione di malessere, si allontanerà da Yasmin e andrà a incontrare la sua ex fidanzata spingendosi fino ai confini di Gaza.

Tutto nel film di Lapid è storto, confuso, doloroso, contraddittorio, sia a livello visivo e sonoro, sia a livello di contenuti. Un’esperienza sensoriale che trascina nella follia di un paese che nella sua quotidianità fa finta di essere normale, nonostante tutto intorno gridi l’impossibilità di una normalità e di una felicità che inevitabilmente diventa violenta e colpevole.

Ne viene fuori un atto d'accusa nei confronti di quello che Israele e gli israeliani sono diventati, ma anche un grido di disperazione di fronte a una complessità soverchiante che fa sentire i protagonisti continuamente inadeguati e la cui unica via d’uscita sembra la fuga.

Si ride con orrore. E non è poco.

Voto: 3,5/5




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Anemone


Ronan Day-Lewis è pittore e figlio d'arte, approdato con questo film dietro la macchina da presa per il racconto della storia di due fratelli allontanati dagli eventi della vita, che si ritrovano, confrontandosi e affrontandosi, quando uno dei due (Sean Bean) – per una serie di motivi che si scopriranno nel corso del film – decide di prendere la sua moto e di andare a trovare l’altro (Daniel Day-Lewis) che vive come un eremita in mezzo ai boschi.

Ronan Day-Lewis si può permettere una grande produzione, grandi attori nel cast e riporta al cinema il padre, Daniel Day Lewis, dopo 10 anni di assenza dal grande schermo; diciamo dunque che è nelle condizioni migliori possibili in cui si può trovare chi si trova a dirigere un film per la prima volta.

Secondo me però Ronan ha voluto in qualche modo strafare, e in questo film c'è troppo: non solo le difficoltà dei rapporti familiari, ma anche la pedofilia dei preti, un padre violento, il periodo degli attentati dell’IRA, e chi più ne ha più ne metta.

E, nonostante tutti questi contenuti, resta un film sostanzialmente noioso, che tende a girare a vuoto, tanto che a certo punto non capivo come tutti questi rivoli potessero essere ricondotti alla conclusione, tra l’altro assolutamente prevedibile.

Un film infine molto maschile, di tanti silenzi, molta fisicità e poche parole.

Insomma, l’ho trovato particolarmente indigesto.

Voto: 2/5



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Nino


Nino (il bravissimo Théodore Pellerin, uno di quegli attori che è in grado di recitare con ogni minimo movimento del corpo o del viso) scopre quasi per caso e un po' alla sprovvista che i piccoli fastidi alla gola che ha da qualche tempo sono dovuti a un cancro. Da questo momento la regista Pauline Loqués segue il suo protagonista per i tre giorni successivi fino all'inizio della prima seduta di chemioterapia, tempo nel quale Nino dovrà innanzitutto affrontare dei problemi pratici (ha perso le chiavi di casa e deve riportare in ospedale una provetta col suo sperma per congelare i suoi spermatozoi), e soprattutto dovrà accettare questa nuova condizione e anche provare a condividerla con le persone a cui vuole bene.

Lo seguiremo così prima a casa della madre, poi a casa di un amico che ha organizzato una festa a sorpresa per il suo compleanno, poi a casa della ex fidanzata con cui ha rotto da tempo, infine a casa di una vecchia amica di scuola che non incontra da tempo e che ora è madre single di un bambino.

Quella di Nino sarà una graduale presa di coscienza non solo e non tanto della nuova condizione che lo attende, ma anche e soprattutto di quello che lo circonda, di ciò che è consolidato ma che a volte diamo per scontato o non vediamo, e di ciò che potrebbe avere un significato importante – anche solo per un breve momento – e a cui non ci lasciamo andare.

È un film di sentimenti sottili, che non vuole in alcun modo essere lacrimevole o puntare al melodramma, bensì vuole farci vedere, attraverso gli occhi del suo protagonista, la ricchezza di umanità e sentimenti che ogni vita porta con sé.

E comunque, dobbiamo prendere atto che solo i francesi possono fare film così – parlando di cose piccole e grandi - senza essere banali né noiosi.

Voto: 3,5/5


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