venerdì 12 dicembre 2025

Baby reindeer = Piccola renna / di Richard Gadd; con Filippo Mandelli. Argot Studio, 28 novembre 2025

Qualche tempo fa i social erano invasi di recensioni e notizie che riguardavano la serie Baby reindeer, tratta dal testo di Richard Gadd, a sua volta ispirato alla sua vicenda personale.

Si tratta di una vicenda risalente a diversi anni prima, quando Gadd, aspirante stand-up comedian, era ancora in una fase iniziale e poco remunerativa della sua carriera artistica, e lavorava in un bar per sbarcare il lunario.

Durante un turno di lavoro al bar, Richard conosce Martha, una donna parecchio più grande di lui, e i due iniziano a flirtare. Richard non può immaginare che da quell'incontro inizierà una delle fasi più assurde della sua vita: anni e anni in cui è oggetto di uno stalking che si fa nel tempo sempre più pesante e invasivo. Migliaia di email, messaggi vocali, non solo a lui ma anche ai suoi familiari e ad altre persone care, presenza inattesa e molesta di Martha ai suoi spettacoli e persino sotto casa sua, anche dopo aver cambiato abitazione.

La vita di Richard diventa progressivamente un inferno, e tutti i nodi irrisolti della sua esistenza vengono al pettine, riportando a galla tutte le sue insicurezze e mandando in frantumi quel poco che ha costruito.

Nello stalking, come in tutte le altre relazioni tossiche, è sempre l’incontro tra due personalità complementari a consentire la patologizzazione della relazione, e anche Martha e Richard non sfuggono a questa regola.

Eppure, mentre ascoltiamo il monologo, interpretato con grande partecipazione e la giusta dose di scanzonatezza e vittimismo da Francesco Mandelli, non possiamo non provare empatia per il protagonista e angoscia per il buco nero nel quale si va ad infilare e dal quale riuscirà a tirarsi fuori solo molti anni più avanti e dopo una vera e propria discesa agli inferi.

Lo stalking è una delle forme di violenza più subdole nell’ambito di una relazione, ed è anche la meno riconosciuta e soprattutto più sottovalutata. In questo caso poi, in una situazione di ribaltamento di genere, in cui è l’uomo l’oggetto dello stalking, la sottovalutazione e il pregiudizio sono ancora maggiori. E dunque diventa ancora più difficile ottenere una tutela pubblica.

Lo spettacolo all’Argot è un monologo messo in scena in modo molto essenziale, in cui il protagonista si muove sostanzialmente tra due ambienti, il bar e la stazione di polizia, identificati semplicemente da due scritte luminose, monologo interrotto solo dalla voce di Martha (Barbara Ronchi) nei suoi deliranti messaggi vocali, e dai testi delle email proiettati sullo schermo di fondo, schermo sul quale sono proiettate anche brevi testimonianze di amici e parenti del protagonista.

Però, nella sua semplicità - anche grazie a un testo denso e in cui ognuno può ritrovare piccole parti di esperienze proprie o altrui – riesce ad essere estremamente efficace, ed emotivamente molto coinvolgente.

Non ho visto, e non credo che vedrò la serie – mi è bastato lo spettacolo -, ma posso capire le polemiche che può aver suscitato, dal momento che inevitabilmente mette in scena solo un punto di vista. Ma, per quanto si tratti di una storia che arriva direttamente dalla biografia del drammaturgo, bisogna sempre ricordarsi che arte e vita viaggiano su due binari non coincidenti, e che nel momento in cui una storia viene raccontata diventa un punto di vista e una narrazione.

Quindi, quello che ci interessa nel caso dell’arte è quanto quella storia è raccontata bene. E questa lo è sicuramente.

Voto: 3,5/5

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