mercoledì 12 marzo 2025

L’uomo nel bosco = Miséricorde

Alain Guiraudie è un nome che si è affacciato piuttosto tardivamente alla ribalta cinematografica internazionale e lo ha fatto con un film, Lo sconosciuto del lago, che ho inseguito a lungo ma che ancora non sono riuscita a vedere (mentre ho visto un film che ha avuto meno distribuzione ma che ho trovato interessante: L'innamorato, l'arabo e la passeggiatrice).

Per questo ho deciso che non mi sarei lasciata sfuggire L’uomo nel bosco, film presentato a Cannes in una sezione collaterale e che in Francia ha fatto il pieno di candidature ai César francesi.

Ho voluto ricordare nel titolo di questo post che il film, nella sua versione originale, si chiama Miséricorde, che secondo me è un’informazione utile per interpretare la narrazione, volutamente ambigua e misteriosa, che Guiraudie ci propone.

La storia è presto detta: Jérémie (Félix Kysyl) torna da Tolosa nel paesino dell’Ardèche di cui è originario per partecipare al funerale del panettiere locale, con cui ha lavorato e a cui era legato. Rientrato nel contesto dal quale proviene, dopo il funerale, Jérémie decide di fermarsi qualche giorno, ospite della vedova del panettiere (Catherine Frot).

La sua presenza in paese produce una serie di reazioni a catena, mandando in fumo gli equilibri tra le persone e portando allo scoperto il rimosso di ciascuno.

Di mezzo c’è anche un omicidio, ma il film non è un giallo, e in generale non è facile incasellare il film dentro una specifica categoria (come del resto gli altri di Guiraudie), e quando ci convinciamo che si tratti di un noir il film scarta lateralmente facendosi racconto psicologico con venature grottesche e a tratti esilaranti, quasi da commedia dell’arte.

Guiraudie – come lui stesso afferma in un’intervista – lavora per sottrazione: a partire dal suo stesso romanzo a cui il film è ispirato toglie tutti quegli elementi che ci aiuterebbero a interpretare fino in fondo i comportamenti dei personaggi: Jérémie, la vedova, suo figlio Vincent (Jean-Baptiste Durand, regista del bel film Chien de la casse), l’amico Walter (David Ayala).

Perché Jérémie divenga l’oggetto di desiderio di tutti, perché lui stesso attivamente si faccia seduttore, perché la sua presenza produca reazioni così scomposte e lui stesso se ne faccia coinvolgere, in che relazione erano i protagonisti in passato quando Jérémie abitava ancora nel paese non è dato saperlo.

Noi spettatori vediamo personaggi agìti dal desiderio, un desiderio a volte quasi inspiegabile, che sicuramente si contrappone alla monotonia e all’abbandono di un paese dove l’attività più diffusa e comune è passeggiare nel bosco per raccogliere funghi. E il bosco si presenta a seconda dei casi inquietante, fatato o splendente, per effetto della luce, del tempo atmosferico o semplicemente del modo in cui lo guardiamo e interpretiamo.

Esattamente la stessa cosa che accade con i personaggi: le loro azioni sono più inquietanti, bizzarre o stranianti a seconda del modo in cui le guardiamo e del significato che attribuiamo loro.

L’ambiguità è dunque la cifra dominante, ma come dice il fotografo giapponese Daido Moriyama “a normal human being will in one day perceive an infinite number of images, and some of them are focused upon, others barely seen out of the corner of one's eye.” Mi pare che questa citazione ben si attagli anche al cinema di Guiraudie.

Voto: 3,5/5


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