È passato un po' troppo tempo, ma siccome avevo un po' di nostalgia dei concerti ho pensato di pubblicare lo stesso questa recensione dell'ultimo concerto dal vivo che ho visto/ascoltato.
Dopo la piacevolissima esperienza dello scorso anno, anche quest’anno approfitto della mia presenza in Puglia per andare a vedere almeno un concerto della rassegna Bari in jazz nella splendida cornice del Minareto sulla Selva di Fasano.
Scelgo il concerto di Omar Sosa, non perché conosca direttamente l’artista ma perché vedo che si tratta di un pianista cubano che ha fatto spesso coppia sul palco con il nostro Paolo Fresu. Ascolto qualcosina online faccio il biglietto già quando sono a Roma.
Quando poi sono in Puglia coinvolgo altri amici e alla fine al concerto saremo in cinque.
Il Minareto è sempre un posto magnifico, soprattutto quando il sole è appena tramontano dietro le colline e la campagna sottostante fino al mare si colorano di blu e poi di nero.
Omar Sosa sale sul palco alle 21,30 in versione solo: è circondato da un pianoforte a coda, tastiera elettronica, computer e altri piccoli strumenti che utilizzerà alla bisogna e secondo l’estro del momento.
Come ci spiega, in questo tipo di concerti non ha una scaletta né degli spartiti: è tutto frutto di improvvisazione, anche grazie al feeling che si crea con il pubblico e alle vibrazioni che gli arrivano. E questo fa già impressione di per sé.
Quando inizia a suonare resto piuttosto spiazzata: mi aspettavo sonorità latino-americane, quelle della tradizione cubana a cui appartiene e che anche in Europa conosciamo molto bene, e invece la musica di Omar Sosa è l’espressione di un sincretismo musicale che copre tutte le aree geografiche e culturali e che spazia nel tempo. Nelle sue composizioni si alternano e si fondono sonorità che spaziano dalla musica classica a quella contemporanea, dalla musica occidentale a quella latina fino ad arrivare a quella africana, le cui radici affondano saldamente nel background di Sosa. Il suono pulito e “acustico” del pianoforte a coda si alterna a sonorità elettroniche, ed è inframmezzato da voci registrate, ovvero da performance del musicista che suona le corde del pianoforte con spazzole più grandi di quelle che si utilizzano nella batteria jazz.
Nel flusso d’improvvisazione di Sosa qua e là sembra di riconoscere motivi che si conoscono, o comunque che innescano ricordi e sensazioni di musiche conosciute e conoscibili, ma alla fine il risultato è sempre originale e inaspettato, mai pienamente conforme e appiattito su un unico genere.Le singole composizioni possono risuonare più o meno con il gusto individuale e le proprie aspettative, ma non possono non colpire per la perizia del pianista e l’originalità dei cambi di ritmo e dei contenuti sonori.
Il pubblico è via via conquistato dall’energia di Omar Sosa, fino a essere coinvolto attivamente nelle improvvisazioni con il battito delle mani. Cosicché quando dopo circa un’ora e mezza il concerto è finito il pubblico chiede il bis a gran voce e il pianista non si sottrae e ci regala un’ultima composizione di grande intensità emotiva.
Bari in Jazz si conferma anche quest’anno e nonostante tutte le limitazioni e le difficoltà dovute al COVID una delle manifestazioni più vitali – insieme al Locus Festival – dell’estate pugliese.
Voto: 3,5/5
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