Daniel (lo strepitoso Bartosz Bielenia) ha 24 anni ed è in riformatorio per omicidio. Qui ha instaurato un rapporto privilegiato con padre Tomasz, il sacerdote che viene periodicamente a dire la messa e a sostenere psicologicamente ed emotivamente i carcerati, e forse anche in virtù di questo rapporto coltiva il sogno, irrealizzabile, di diventare anch’egli sacerdote.
Quando esce per buona condotta, destinato a lavorare nella segheria di un paese vicino, Daniel si rifugia in una chiesa e qui si presenta come sacerdote. La sorte vuole che il parroco abbia bisogno temporaneamente di cure e chieda a Daniel di sostituirlo.
Il giovane si troverà dunque risucchiato nelle dinamiche del paese in una posizione di pastore di anime che scoprirà essergli particolarmente congeniale. Da peccatore e conoscitore di tutte le debolezze e tentazioni dell’animo umano, Daniel si addentra negli interstizi e negli anfratti più oscuri dell’apparentemente tranquilla vita di paese, portando a galla meschinità, ipocrisie e cattiverie che di cristiano hanno poco o nulla.
Protetto dalla sua tunica quasi fosse un’armatura che gli conferisce uno status speciale, Daniel è in grado di dire verità scomode e di parlare con sincerità a tutti, mettendosi in gioco in prima persona di fronte alle divisioni profonde che si sono determinate dopo un tragico incidente che ha portato alla morte sette persone.
Il film di Jan Komasa, candidato all’Oscar come miglior film straniero, funziona perfettamente sia come ritratto di questo sacerdote improvvisato e ampiamente imperfetto, ma al contempo responsabilizzato nel suo ruolo di guida spirituale, sia come rappresentazione delle dinamiche delle piccole comunità, tutte costruite sull’apparenza e continuamente impegnate nel tentativo di nascondere a sé stessi e agli altri le proprie colpe e debolezze, e di cercare capri espiatori.
Ne esce fortemente compromesso non il senso profondo del cattolicesimo, bensì la religiosità intesa come forma anziché come sostanza, incapace di correggere le storture di realtà piccole e provinciali come quella in cui è ambientata la vicenda.
Ispirato a una storia vera, e certamente molto legato alla specifica realtà polacca, il film non faticherà a essere compreso e sentito sotto pelle da chiunque provenga da piccole cittadine di provincia con una spiccata caratterizzazione religiosa. E senza dubbio gli occhi, invasati o rapiti di Bartosz Bielenia a seconda dei momenti, rimarranno a lungo nella memoria dello spettatore.
Voto: 3,5/5
martedì 24 novembre 2020
Corpus Christi
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Condivido il tuo giudizio. Film interessante, "carino", che fa riflettere. Ma da qui a dire che è un capolavoro come ho letto in tante recensioni ce ne passa... insomma: se penso che è stato candidato all'Oscar al posto de "Il Traditore" di Bellocchio, credo che il suo regista goda, diciamo così, di "buona critica". Comunque film da vedere, ci mancherebbe.
RispondiEliminaBeh, capolavoro è un termine che io uso molto raramente... Ritengo che abusarne significhi togliergli valore :-)
EliminaNicce blog
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