venerdì 1 febbraio 2019

Il maestro e Margherita. Teatro Eliseo, 27 gennaio 2019

Devo confessarlo prima: non ho ancora letto il capolavoro di Bulgakov. È lì che mi guarda dallo scaffale da parecchio tempo e ho anche provato un paio di volte a iniziarlo ma non era mai il momento giusto. Del resto, così mi era capitato per Memorie di Adriano: lo avevo abbandonato varie volte e poi quando è arrivato il suo momento l'ho amato alla follia.

La mia manovra di avvicinamento a Il maestro e Margherita passa anche attraverso la scelta di andare a vedere lo spettacolo teatrale in scena al Teatro Eliseo, la cui regia è di Andrea Baracco, mentre l'impegnativo ed egregio lavoro di riscrittura del testo è di Letizia Russo.

Il palcoscenico si presenta come uno stanzone chiuso sui tre lati da muri di ardesia (l'effetto è simile a quella usata nell'allestimento di Copenhagen al Teatro Argentina), ricoperti di disegni (alcuni sembrano quasi dei graffiti di tipo preistorico) e scritte, in parte poi aggiunte nel corso dello spettacolo. Lungo le pareti numerose porte che si aprono e si chiudono alla bisogna, talvolta con un ritmo serrato e con una sincronia perfetta.

Il prologo vede sulla scena il maestro (Francesco Bonomo, che interpreta anche Ponzio Pilato) che - ormai alla disperazione - decide di bruciare il suo romanzo su Ponzio Pilato in quanto avversato e censurato dall'establishment russo, mentre Margherita (Federica Rosellini) cerca di salvare lui e il suo libro.

Da qui prendono l'avvio le storie parallele raccontate da Bulgakov, quella direttamente proveniente dal manoscritto del maestro, ambientata a Gerusalemme ai tempi del processo a Yeshua (Gesù) che vede Ponzio Pilato sempre più turbato per il fatto di non aver preso posizione contro la condanna a morte del predicatore, e quella ambientata a Mosca negli anni Trenta e che riguarda la storia del maestro e i tentativi di Margherita di ricongiungersi a lui.

Il trait d'union di queste due storie è la figura di Woland (un Michele Riondino luciferino e claudicante, sicuramente ispirato - com'è stato notato - al joker di Heath Ledger), in realtà Satana fatto persona, che ha assistito al processo a Yeshua e ora interviene, insieme ai suoi buffi e un po' inquietanti aiutanti, a sparigliare le carte della ingessata società moscovita offrendo infine a Margherita l'occasione di ricongiungersi al suo amato.

Il romanzo di Bulgakov nella reinterpretazione di Andrea Baracco e Letizia Russo si caratterizza per la sua potenza visionaria ed evocativa sia dal punto di vista del testo sia dal punto di vista visuale: si pensi all'ingresso in scena di Ponzio Pilato, a Ivan che nuota in un mare evocato da una corda tesa in mezzo al palcoscenico, a Margherita il cui volo è suggerito da un'altalena, alla passerella dei cattivi del mondo provenienti dall'Inferno durante la festa di Woland. Senza perdere la sua allure classica e la sua grandiosità, il romanzo diventa un'opera moderna, in cui questi due livelli si mescolano anche sul piano musicale, dove fanno capolino anche famosi brani rock come Sympathy for the devil dei Rolling Stones.

Se dalla prima parte lo spettatore a digiuno del romanzo come me esce un po' disorientato - anche per la complessità dell'intreccio narrativo - man mano è impossibile non farsi conquistare dalla bravura degli attori, dalle invenzioni registische, dalla sapienza nell'uso delle luci, dal tempismo perfetto delle azioni in scena. Così come man mano cresce - come nella canzone dei Rolling Stones - una simpatia per il diavolo, incarnazione di una profonda riflessione filosofica da parte di Bulgakov, quella sul rapporto tra l'uomo e il divino, ovvero tra l'uomo e la sua coscienza. In fondo il romanzo di Bulgakov è un grande omaggio alla libertà dell'uomo e alla sua capacità di autodeterminazione, radice di ogni grandezza e di ogni miseria.

E se all'inizio si teme di non reggere a uno spettacolo di 2 ore e 40 minuti, all'uscita si è carichi di un'energia luciferina e della certezza di aver assistito a un grande spettacolo teatrale.

Voto: 4/5

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