L'Enrico IV adattato, diretto e recitato da Carlo Cecchi non è la classica messa in scena del dramma scritto da Luigi Pirandello nel 1921 avendo in mente come protagonista Ruggero Ruggeri, un attore famoso dei primi decenni del Novecento. E lo si capisce fin dalla prima scena.
La scenografia si presenta come un dietro le quinte di un teatro, dove ci sono tre personaggi vestiti in abiti storici (i consiglieri di Enrico IV) che fanno un provino a un quarto personaggio vestito in abiti contemporanei. Quest'ultimo sembra debba sostituire un attore che nel frattempo è venuto meno. Non è chiaro se c'è un copione da recitare e una parte da imparare in questa gigantesca recita intorno al protagonista, un nobile che molti anni prima - durante una cavalcata in costume - è stato disarcionato dal suo cavallo e dopo la caduta si è fissato nel personaggio che interpretava, appunto l'imperatore Enrico IV di Franconia.
Quando arrivano a palazzo il barone Belcredi, la marchesa Matilde, la figlia di questa, Frida, il nipote del protagonista, Carlo Di Nolli, e uno psichiatra interessato a studiare il caso della pazzia di Enrico, le circostanze della cavalcata in costume emergono, così come la rivalità tra Enrico e Belcredi per l'amore di Matilde. Il dottore decide di tentare di inscenare nuovamente quella situazione, facendo interpretare Matilde di Canossa a Frida (la figlia della marchesa, che è identica alla madre da giovane), per determinare in Enrico uno shock uguale e contrario a quello originario.
Il fatto è che Enrico è rinsavito da tempo, ma ha deciso di continuare a recitare la sua parte per non dover tornare nel mondo e affrontare la realtà e il dolore della perdita della donna amata, finita sposa di Belcredi, il vero responsabile del disarcionamento. Cosicché l'esperimento del dottore riporterà a galla le verità passate e presenti fino alla tragedia finale, l'uccisione di Belcredi da parte di Enrico, che costringerà quest'ultimo a continuare la sua folle recita per il resto della sua vita.
Il testo di Pirandello e soprattutto i lunghi monologhi da questo affidati al personaggio di Enrico IV vengono riletti da Carlo Cecchi in quell'ottica meta-teatrale già evidente dalle prime battute, aggiungendo al classico tema pirandelliano delle maschere e del rapporto tra follia e normalità anche una riflessione sul teatro. Nelle pieghe della narrazione viene infatti continuamente rivelata la finzione, che non è solo quella di Enrico IV che si finge folle, bensì anche quella degli attori che interpretano questo dramma un po' datato e che devono fare i conti con i dettami del linguaggio dell'epoca e della recitazione teatrale classica.
Enrico IV, alias Carlo Cecchi, si fa beffe non solo degli altri personaggi del dramma pirandelliano, bensì anche degli spettatori e infine dello stesso Pirandello. Si ribella alla recita della recita, si dimentica le battute e improvvisa, attinge al linguaggio - anche volgare - dell'uomo della strada, subito ripreso dal suo consigliere che si fa anche suggeritore e interprete del teatro classico.
E così Cecchi svela la finzione persino nella tragedia finale dell'uccisione di Belcredi, richiamando l'attore che interpreta quest'ultimo ad alzarsi per la prossima replica.
In questo gioco di specchi tra teatro e meta-teatro, Cecchi dichiara di voler ridimensionare la centralità assoluta che Pirandello conferisce al protagonista con i lunghi monologhi della sua opera recuperando e dando spessore ai comprimari; la verità però è che, alla fine, lo spettacolo decolla proprio quando Enrico IV (e il suo attore) prendono la scena rovesciando le convenzioni, ma in fondo facendo dimenticare quasi tutti gli altri attori sul palco.
Voto: 3,5/5
venerdì 15 febbraio 2019
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