venerdì 11 gennaio 2019

Santiago, Italia

In questo suo ultimo film, Nanni Moretti si presenta al pubblico nell'inusuale veste di documentarista, cosicché di lui per gran parte del girato sentiamo solo di tanto in tanto la voce che proviene dall'altra parte dello schermo per fare delle domande agli intervistati e lo vediamo comparire di persona solo durante l'intervista con un militare per dichiarare - anticipando qualunque obiezione successiva - che lui non è imparziale.

Il documentario di Moretti racconta una vicenda seguita al golpe che portò al rovesciamento e alla morte di Salvador Allende in Cile nel 1973. Nelle settimane e nei mesi successivi al golpe il regime iniziò una vera e propria caccia all'uomo volta a eliminare - in molti casi fisicamente - gli oppositori e tutti coloro che avevano fiancheggiato Allende ovvero erano noti per la loro militanza o persino simpatia per l'ideologia marxista. Queste persone - per sfuggire all'arresto e alle torture - cominciarono a cercare rifugio nelle ambasciate straniere presenti a Santiago. Quando la maggior parte delle ambasciate smise di accettare rifugiati cileni, quella italiana si trovò ad essere l'unica possibilità di salvezza di questi cileni, poiché una parte del muro di cinta dell'ambasciata era nascosto al controllo dei militari e soprattutto un po' più basso, e dunque poteva essere scavalcato.

Dopo qualche remora, il personale diplomatico dell'ambasciata italiana - poi sostenuto anche dal governo e dai partiti italiani - decise di accogliere questi rifugiati arrivando a ospitarne oltre 250, e ne consentì il viaggio in Italia, dove ottennero lo stato di esuli e gli venne offerta la possibilità di iscriversi a liste di collocamento.

Il film di Moretti si sviluppa attraverso le interviste a molti dei protagonisti di questa incredibile - e forse poco conosciuta - vicenda, alternate a immagini e video di repertorio che offrono dei puntelli a un racconto che comincia con l'ascesa al governo di Salvador Allende e finisce con l'arrivo in Italia di questi cileni perseguitati.

Molti di loro - che pure avrebbero voluto tornare nel loro paese e hanno vissuto per anni con le valigie pronte - sono alla fine rimasti in Italia dal momento che la situazione in Cile è stata a lungo critica, e sono ormai completamente integrati nel nostro paese, di cui ricordano lo spirito di accoglienza, l'empatia e la capacità di comprendere e partecipare.

Nel film ci sono poche voci che rappresentano la controparte, un alto vertice dell'esercito e il già citato militare in galera, ma - come appunto lo stesso Moretti dichiara - è evidente che l'intento del film non è quello di raccontare una storia mantenendosi neutrale. Semmai è piuttosto esplicita nel film di Moretti l'intenzione di spingere il pubblico a un confronto con l'Italia del presente che inevitabilmente solleva un inquietante interrogativo: cosa è successo all'Italia (e non solo) in quarant'anni di storia per trasformarsi in un paese ostile, becero, chiuso nel suo egoismo e individualismo, sordo alle questioni che vadano minimamente al di là del proprio interesse privato?

È evidente che si tratta di questioni complesse e che non riguardano solo l'Italia, di conseguenza non esistono risposte semplici. Ma credo che sia un grande merito di Moretti quello di costringerci quanto meno a formulare queste scomode domande e farci riflettere sulle conseguenze devastanti della globalizzazione, della "fine delle ideologie", della vittoria del turbocapitalismo, della crisi profonda dei partiti tradizionali e della politica tout court. Consiglio a questo proposito la lettura del breve ma interessante articolo di Bernard Guetta su "Internazionale".

Voto: 4/5

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