martedì 15 gennaio 2019

Vice - L'uomo nell'ombra

Il film di Adam McKay (lo stesso che aveva vinto l'Oscar per la migliore sceneggiatura non originale con La grande scommessa, che a questo punto vorrei recuperare) rientra nel genere cinematografico del biopic. Racconta infatti la vicenda di Dick Cheney (il grandioso Christian Bale), dagli anni scapestrati della giovinezza all'ascesa alla vicepresidenza americana fino alla vecchiaia.

Il film è costruito con il rigore delle inchieste giornalistiche serie, facendo luce su vicende più o meno conosciute della storia americana dagli anni Settanta ad oggi (o quanto meno all'altro ieri). Utilizza però un registro ironico e uno stile narrativo originale e frizzante, che trasformano quello che poteva essere l'ennesimo film sui retroscena della politica americana in un accattivante gioco con il pubblico, chiamato in causa fin dall'inizio dal personaggio narrante che solo alla fine comprenderemo che legame abbia con Dick Cheney. Lo spettatore viene continuamente spiazzato da trovate registiche forse non originali ma certamente divertenti e di impatto, e l'ironia non riguarda solo il modo di raccontare, bensì caratterizza anche i protagonisti di questa storia, rendendoceli a tratti simpatici senza che questo nulla tolga a un giudizio che man mano diventa fatalmente impietoso, virando l'ironico sempre più in grottesco. Non uscite dalla sala ai primi titoli di coda, perché il regista inserisce un divertente siparietto proprio alla fine.

Andando ai contenuti, il film di MacKay offre al pubblico una lettura di cinquant'anni della storia americana attraverso una figura che ha fatto della riservatezza la sua caratteristica principale e che raramente ha occupato la ribalta, ma che certamente è stata determinante per molte delle decisioni più importanti e delle politiche che gli Stati Uniti hanno messo in atto durante le presidenze repubblicane di questi anni, in particolare durante la presidenza di George W. Bush (l'ottimo Sam Rockwell).

Il destino di Dick Cheney avrebbe potuto essere molto diverso se non avesse avuto accanto una donna determinata e ambiziosa come Lynne (Amy Adams), che a seguito delle sue sregolatezze di gioventù lo mise di fronte a un aut aut e in questo modo ne cambiò il corso dell'esistenza. Cheney viene presentato come un omone silenzioso e un po' grigio, forse anche un po' goffo, ma dotato di una straordinaria capacità di comprendere le situazioni, di saper aspettare il momento giusto e di convincere i suoi interlocutori anche delle idee apparentemente più folli, qualità rappresentate a più riprese nel film non solo attraverso la sua carriera politica bensì soprattutto attraverso la sua passione per la pesca.

Dal tirocinio svolto alla Casa Bianca al seguito di Donald Rumsfeld (il quasi gigionesco Steve Carell), con cui tornerà a collaborare strettamente durante la presidenza Bush, l'ascesa di Cheney, sempre sostenuto dalla moglie, sarà inarrestabile, per quanto all'interno di una logica coerente con il carattere del nostro personaggio. Cheney è sempre presente nella politica americana, ma opera quasi esclusivamente dietro le quinte, soprattutto dopo aver compreso che non riuscirà mai ad arrivare alla Presidenza perché non ha il sostegno popolare. La sua capacità di eclissarsi quando necessario - intessendo negli anni delle presidenze democratiche fruttuosi rapporti con grandi colossi privati da cui poi sarà sostenuto durante gli anni repubblicani e che favorirà smaccatamente con politiche ultraliberiste - e di ricomparire al momento giusto gli garantiscono ruoli chiave all'interno della Casa Bianca, fino a quando - durante la presidenza di una figura debole e bisognosa di sostegno come quella di George W. Bush - accetta la proposta di fargli da vicepresidente in cambio di un accordo che gli conferisce ampi poteri quasi al di fuori di qualsiasi controllo.

Il film si sofferma anche sulla sua figura privata di marito modello e padre comprensivo e affettuoso verso le figlie, in particolare Mary che durante l'adolescenza rivela ai genitori di essere gay, mettendo a nudo però man mano il delicato equilibrio tra l'etica privata e il cinismo pubblico, che alla fine coinvolge e sacrifica, quando necessario, gli elementi non allineati della famiglia in questa silenziosa ma implacabile ubriacatura di potere. Un potere che - a differenza di altri - Cheney ha saputo sempre amministrare con grande rigore personale e una straordinaria attitudine alla manipolazione dell'opinione pubblica, negli anni in cui la politica comincia ad avvalersi biecamente dei metodi della ricerca sociale e del potere mediatico per ottenere i risultati desiderati.

Si esce dal cinema con un sorriso amaro sulle labbra e con una sensazione di impotenza di fronte a meccanismi di cui in molti casi siamo tutti vittime inconsapevoli, oggi forse tanto più grazie alla potenza di fuoco dei social media.

Voto: 4/5



2 commenti:

  1. Condivido tutto quello che hai scritto: è uno dei migliori film della stagione. E ti consiglio davvero di recuperare "La grande scommessa" che, per certi versi, è propedeutico a questo

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