lunedì 21 gennaio 2019

Cold war

Di Pawlikowski avevo visto tanto tempo fa My summer of love e mi ricordavo queste atmosfere rarefatte e un modo di raccontare i sentimenti che io considero "connotato culturalmente" e dunque differente da quella modalità tipicamente "occidentale" alla quale ci siamo completamente assuefatti.

Queste caratteristiche si ritrovano secondo me in Cold war, affinate e perfezionate dalla crescita artistica del regista (che pare fosse già evidente in Ida che io avevo perso).

La "guerra fredda" del titolo è quella che attraversa l'Europa a partire dal secondo dopoguerra, ma in fondo è anche quella che si consuma tra i due protagonisti, Wiktor (Tomasz Kot) e Zula (Joanna Kulig), la cui vicenda è ispirata a quella dei genitori del regista sui il film è dedicato.

Siamo in Polonia nel 1949: in una campagna coperta di neve e popolata di poveri contadini, Wiktor e la sua assistente Irena (Agata Kulesza), lui un pianista lei una ballerina, stanno portando avanti un progetto di recupero dei canti e delle danze popolari finalizzata alla creazione di una compagnia di musica folk. Durante le selezioni dei componenti della compagnia, Wiktor conosce Zula e tra i due scoppia la passione.

Ben presto la compagnia Mazurek viene posta sotto il controllo del regime e diventa uno strumento di propaganda, mentre l'insoddisfazione di Wiktor cresce fino a quando - durante una tappa berlinese del tour - decide di attraversare il check point e di fuggire, però senza Zula che non se la sente di andar via.

I due si rincontreranno a Parigi, dove nel frattempo Wiktor si è installato e si mantiene facendo il pianista jazz, mentre Zula si è sposata con un italiano per avere la possibilità di viaggiare fuori dalla Polonia. I due vivono una nuova stagione di passione che però si conclude ancora una volta con l'insofferenza di Zula e l'allontanamento dei due amanti.

Quando Wiktor deciderà di tornare in Polonia, per ritrovare quella che considera la donna della sua vita, dovrà fare i conti con le conseguenze del suo tradimento verso la nazione, e sarà Zula a questo punto a sacrificarsi per farlo uscire dai campi di lavoro e riavvicinarglisi. Ma quella di Wiktor e Zula è una storia destinata a una fine tragica, che arriva inevitabile ma sommessa.

Il film di Pawlikowski è visivamente strepitoso: dentro un formato ormai in disuso com'è il 4:3 e un bianco e nero sempre affascinante, quasi soffuso, le immagini della campagna polacca innevata e dei contadini che la abitano sono struggenti e poetiche nel loro oscillare tra dettaglio descrittivo e suggestione emotiva; più stereotipate invece le immagini parigine, non meno belle ma - diciamo così - meno sentite.

La bellezza delle immagini è accompagnata da una colonna sonora a suo modo sorprendente (la musica del resto è anche il linguaggio che accomuna Wiktor e Zula): se l'ambientazione polacca si sostanzia delle evocative musiche popolari polacche, è la musica jazz la cifra musicale della fase parigina, fino ad arrivare alle sonorità pop degli anni Sessanta che travalicano persino la cortina di ferro (in sottofondo c'è una versione polacca di 24.000 baci di Adriano Celentano).

Su questo sfondo di grande raffinatezza cinematografica si muovono due personaggi in fondo modernissimi, che non possono stare lontani, ma nemmeno troppo vicini, la cui folle e immatura passione amorosa, vissuta però in quel modo trattenuto e paziente che dal mio punto di vista è un segno culturale distintivo, è portata alle sue conseguenze tragiche dai suoi stessi limiti, esasperati da un'Europa che vive spaccata in due. Zula è il vero deus ex machina della vicenda, fa e disfa, salva e fa fallire, e non ha paura di nessuno, se non forse di sé stessa.

Quella di Wiktor e Zula resta dal mio punto di vista una storia in parte già vista e secondo me un pochino esile sul piano psicologico ed emotivo (avrei gradito un maggiore approfondimento delle motivazioni individuali), cosa che per me costituisce in qualche modo l'aspetto più debole del film.

Voto: 3/5

2 commenti:

  1. Concordo in pieno: esteticamente bellissimo (fin troppo) ma troppo trattenuto, emotivamente poco coinvolgente, almeno per me. Forse me lo aspettavo diverso, tipo un melodramma d'altri tempi, fattosta che mi è parso davvero freddo.

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    1. Siamo sulla stessa linea Kris! Anche a me ha coinvolto poco emotivamente...

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