lunedì 15 settembre 2025

L’ultimo turno = Heldin

Avevo puntato questo film già da qualche settimana e finalmente, grazie a una proiezione post-lavoro in lingua originale al Quattro fontane, riesco finalmente a vederlo.

Siamo in Svizzera, nel reparto di un ospedale che è al gran completo e dove sono ricoverate persone con malattie gravi e/o terminali, altri con situazioni di emergenza, altri ancora con problemi più lievi. Durante il film, che si svolge in una quasi perfetta unità di tempo e di luogo, seguiamo l’infermiera Floria (Leonie Benesch, già vista e apprezzata ne La sala professori) per tutta la durata di un suo turno, un ultimo turno della giornata, in cui la gestione del reparto è affidata soltanto a lei e a un’altra infermiera, con l’aiuto di una tirocinante.

Floria è appassionata del suo lavoro e lo svolge con cura e attenzione, ma il carico di lavoro, i ritmi frenetici, le continue urgenze e i comportamenti non sempre comprensivi dei pazienti e dei loro familiari mettono a dura prova la sua tenuta professionale, umana ed emotiva.

Il film della regista svizzera Petra Biondina Volpe mantiene alta la tensione per tutta la durata del film e consente allo spettatore di cambiare il punto di vista: spesso il cinema (e la letteratura) ci fanno entrare nella mente dei malati e dei pazienti, a volte in quella dei medici, ma raramente ci fanno vestire i panni di queste figure determinanti rispetto non solo al funzionamento di un ospedale, ma anche rispetto al benessere di chi vi è ricoverato, come sa chiunque sia stato in ospedale o abbia avuto un parente o un amico ricoverato.

Quello della Volpe è certamente un film a tesi, una specie di dichiarazione d’amore verso la professione infermieristica e un grido d’allarme rispetto a un futuro, invero molto vicino, in cui gli ospedali non avranno più infermieri, essendo al momento già fortemente sottodimensionati nel numero rispetto alle esigenze (e questi dati vengono resi espliciti prima dei titoli di coda). In questo senso, si tratta di un film relativamente semplice, ma non per questo banale né scontato, che a tratti mi ha ricordato – per il ritmo e in parte anche per il significato - il film con Laure Calamy Full time.

Ottime la regia e l’interpretazione di Leonie Benesch che conferisce grande umanità e spessore al suo personaggio. Forse – ma è solo la mia sensibilità – avrei evitato la scena finale (che preferisco non spoilerare), che secondo me non era necessaria e che aggiunge un elemento consolatorio che non rafforza, bensì indebolisce la carica del film (sebbene abbia molto apprezzato la canzone scelta, Hope there's someone, di Antony and the Johnsons, di cui invito a leggere il testo).

Il film centra l’obiettivo di far riflettere e, personalmente, ho continuato a dirmi, per tutta la sua durata, che io non reggerei nemmeno un giorno in quelle condizioni, e che – non c’è niente da fare – viviamo in una società non equa, perché non tiene conto delle differenze macroscopiche che ci sono nel carico di lavoro fisico ed emotivo tra i vari lavori. Inoltre, il film della Volpe aiuta anche a ridimensionare le proprie paturnie lavorative e a relativizzare le nostre lamentele rispetto alla quotidianità lavorativa. E direi che non è poco.

Voto: 3,5/5


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