giovedì 25 settembre 2025

Sotto le nuvole

E niente, non posso che confermare che Gianfranco Rosi fa film che mi piacciono assai, e, dal mio punto di vista, qualunque sia l’aspetto del reale o il contesto su cui si posa il suo sguardo, il regista riesce sempre a conferirgli una poesia che non passa soltanto attraverso una scelta estetica ineccepibile, ma anche attraverso un’attenzione delicata alla componente umana.

Dopo Sacro GRA (con al centro la periferia romana), Notturno (ambientato nei territori di guerra tra Siria, Iraq, Iran, Kurdistan e Libano) e Fuocoammare (incentrato su Lampedusa), Gianfranco Rosi sposta il suo sguardo sul golfo di Napoli, stretto tra l’instabilità della caldera dei Campi Flegrei e la presenza potenzialmente poco rassicurante del Vesuvio, che – come dice la bellissima citazione di apertura di Cocteau – “fabbrica tutte le nuvole del mondo”.

Del resto, nella Napoli di Rosi il sole non c’è mai, che di per sé costituisce una primigenia e programmatica dichiarazione da parte del regista di voler andare in direzione ostinata e contraria a qualunque forma di stereotipo o di cliché sulla città.

Come sempre nei suoi film, Rosi procede per giustapposizione di immagini e di storie, che spesso si srotolano sullo schermo in parallelo, talvolta si intersecano, e che sta all’occhio attento dello spettatore - sulla base degli indizi visivi forniti - far dialogare e inserire in un orizzonte di senso.

Nel caso di Sotto le nuvole seguiamo il lavoro della funzionaria del MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), innamorata delle sue statue, sia quelle che raggiungono la ribalta delle sale, sia quelle che riempiono i magazzini del museo; l’attività degli archeologi dell’Università di Tokyo che da più di vent’anni studiano e portano alla luce la Villa Augustea di Somma Vesuviana; le azioni delle forze dell’ordine e della giustizia per contrastare i furti dei tombaroli che si appropriano delle tracce del passato per lucro, sottraendole alla collettività; il compito delicato della centrale dei vigili del fuoco che deve far fronte alle paure dei cittadini di fronte alle scosse e ad altre emergenze, ma anche a molte altre situazioni della loro quotidianità non sempre facile; la vita dei marinai siriani che lavorano sulle grandi navi che trasportano tonnellate di grano provenienti da Odessa in Ucraina e si fermano per lo scarico a Torre Annunziata; le processioni dei fedeli e le loro manifestazioni di devozione estrema al Santuario della Madonna dell’Arco, piena di ex voto; la pazienza e la gentilezza di Titti, il maestro di strada che nella sua bottega di antiquario fa il doposcuola a bambini e ragazzini; il significato profondamente antropologico della Circumvesuviana, il trenino che attraversa quotidianamente il territorio dell’area metropolitana; le carrozzelle trainate dai cavalli che corrono sulla battigia; i vecchi film in bianco e nero su Pompei e di Ercolano proiettati in una sala cinematografica vuota e cadente.

Senza volersi soffermare sull’aspetto estetico delle immagini, che sono un capolavoro per composizione, cura del bianco e nero, sonoro (quest’ultimo supportato dalle invenzioni di Daniel Blumberg), il film di Rosi è un ricorsivo viaggio nel tempo, avanti e indietro nella storia di questo territorio, senza retorica, senza luoghi comuni, senza pietismi, con profondità, ma anche leggerezza, con gravitas, ma anche umorismo.

Dal film di Rosi ci si lascia cullare, facendoci conquistare minuto dopo minuto, innamorandosi di quello che stiamo guardando e sapendo che, di fronte alla potenza della natura e della storia, nulla può l’essere umano, se non assumersi la responsabilità della custodia del passato e del presente, traghettandolo al futuro. Che poi è quello che Rosi fa con i suoi film, e con questo in particolare.

Meritatissimo Premio speciale della giuria a Venezia.

Voto: 4/5


2 commenti:

  1. Il film è bellissimo, di grande atmosfera. Godibile, ironico e drammatico al tempo stesso. Niente da dire. Però come tutti i film di Rosi è un po' "ipocrita" verso lo spettatore perchè, al solito, il regista prende i suoi personaggi e li fa "recitare" come gli pare a lui, seguendo un copione, cosa che in un documentario non si dovrebbe fare... ovviamente per rispettare il genere. Ma aldilà di questo si tratta di una pellicola assolutamente affascinante.

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    1. Si hai ragione, Rosi cerca in un certo senso di ricostruire la realtà, forzandola un po'. Però di solito lo fa solo dopo averla studiata e vissuta a lungo, e senza allontanarsene troppo. D'altra parte anche i documentari "canonici" ricostruiscono la realtà anche solo nella scelta e nel montaggio. Personalmente accetto qualunque operazione se è onesta e rispettosa.

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