lunedì 22 settembre 2025

L'ultima cosa bella sulla faccia della terra / Michael Bible

L'ultima cosa bella sulla faccia della terra / Michael Bible; trad. di Martina Testa. Milano: Adelphi, 2023.

Ho portato a termine la lettura di questo romanzo solo per una mia ineliminabile curiosità e perché si tratta di un libro di dimensioni piuttosto piccole. Infatti, pur avendone affrontato la lettura con grandi entusiasmi, il mio interesse è andato scemando via via, e si è trasformato a poco a poco in quasi fastidio.

Mi rendo conto di essere in controtendenza: leggo meraviglie di questo romanzo e critici che parlano di Michael Bible come del futuro della letteratura americana, e quindi probabilmente il problema è mio.

Certamente non ha aiutato il fatto che il romanzo si struttura quasi come un insieme di racconti (e io non amo la forma del racconto): i quattro capitoli del romanzo sono infatti parzialmente indipendenti, sebbene tenuti insieme da alcuni fili conduttori, in particolare il legame con la cittadina di Harmony, nel sud degli Stati Uniti, e la vicenda che ne ha segnato la storia, ossia il rogo della chiesa locale in cui sono morte 25 persone, causato da Iggy, un giovane del luogo che in realtà voleva dare fuoco a sé stesso ma ne è uscito illeso.

Nel primo capitolo protagonista è proprio la cittadina di Harmony e la sua varia umanità che, a distanza di anni, ancora si interroga su quanto è successo e perché; nel secondo la parola passa allo stesso Iggy che nel frattempo si trova nel braccio della morte in attesa dell’esecuzione; nel terzo si passa a Farber, e si getta luce anche sulla figura di Cleo, la ragazza amata da Iggy in gioventù e che formava con lui e Paul un trio di inseparabili; nell’ultimo capitolo il narratore è Joe, detto la nuvola, uno dei sopravvissuti del rogo che all’epoca aveva tre anni.

Tutti questi personaggi – intorno ai quali ruota la varia umanità di Harmony e non solo – sono attraversati dal medesimo male di vivere, alimentato dalla noia di un contesto bigotto e privo di stimoli. Tra droghe, percorsi laterali, centri di disintossicazione e strade senza uscita, tutti loro – pur covando il fuoco della gioventù e della vita – sono destinati alla sconfitta.

Ecco, a me tutto questo – la provincia americana che condanna le persone al fallimento, il degrado e la violenza fisica e psicologica, la religione come strumento di limitazione della libertà individuale – ha un po’ stancato. Oltre a trovare la lettura faticosa e la coralità un po’ forzata, devo dire che il libro non mi ha comunicato un’idea nuova, né mi ha suscitato alcun guizzo.

Non è che abbia idiosincrasie verso i romanzi pieni di tragedie e senza speranza, ma per me tra un romanzo di Tiffany McDaniel e questo c’è un vero abisso.

Voto: 2,5/5

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