Devo ammetterlo. Sono andata a vedere il film non esattamente nelle condizioni fisiche migliori. Ero stanca. Stanca morta. E certo questo non deve aver aiutato la sintonia con un film non certo facile.
Devo aver letto che questo è il classico film che non può lasciare indifferenti. O lo si ama o lo si odia. Ebbene, sinceramente non l'ho amato, ma in realtà non l'ho neanche odiato.
Del film di Luca Guadagnino ho apprezzato moltissime cose. Certamente lo stile cinematografico un po' retrò, le citazioni di certa cinematografia anni Sessanta, le atmosfere quasi hitchcockiane, l'uso dei colori, del fuori fuoco, di certi contrasti volutamente un po' schematici. Bellissima la Milano gelida e sospesa nel tempo, in profondissimo rapporto polare con la collina ligure, a sua volta quasi un ritrovato giardino dell'Eden. Straordinaria la ricostruzione estetica ed emotiva di questa famiglia milanese dell'alta borghesia imprenditoriale (i Recchi), con i suoi riti, i suoi pranzi, il rapporto con il personale di servizio, gli arredi e, soprattutto, questa contrazione affettiva e relazionale che nega ed esclude. Notevole Tilda Swinton nei panni di Emma, la madre di famiglia, capace di esprimere una complessità di sentimenti, di pensieri, di emozioni, di decisioni, solo attraverso la sua fisicità e l'espressività del volto, visto che, rappresentando una donna di origine russa, parla un italiano essenziale e comunica con il figlio Edoardo (Flavio Parenti), in fondo il più simile a lei, in russo (non sottotitolato).
Dall'altro lato, ho trovato forse davvero eccessiva - a tratti quasi esasperante - la lentezza del film. E probabilmente non sono riuscita veramente a vibrare in sintonia emotiva con Emma, né con alcuno degli altri protagonisti, veramente troppo lontani da me, dal mio mondo, dalla mia sensibilità personale.
Personalmente, mi hanno sempre fatto un po' paura gli ambienti come quello disegnato da Guadagnino e dai suoi bravi sceneggiatori (onore al merito di Ivan Cotroneo, che riesce ad essere a suo agio con la commedia scoppiettante Mine vaganti e con il dramma di Io sono l'amore), e ancora di più le persone che - volenti o nolenti - sono cresciute in questi ambienti, perché sono degli scrigni incomprensibili e imprevedibili, la cui personalità castrata e la cui emotività mortificata possono manifestarsi nei momenti e nelle maniere più inedite.
Il film è disseminato di elementi di ambiguità visiva ed emotiva: gli abbracci tra Edoardo e Antonio (Edoardo Gabbriellini) appaiono quasi esasperati, l'aria spaurita di Betta (Alba Rohrwacher) alla ricerca di un sé più vero appare a volte spiazzante, l'insensibilità di Tancredi (il marito di Emma, interpretato da Pippo Delbono) è disturbante, l'egoismo liberatorio di Emma che insegue un sogno di primitività rappresentato da Antonio è decisamente naif.
Non so. Forse il mio è sostanzialmente un rifiuto, frutto di un'incomprensione, o forse meglio, la conseguenza di una speranza inconscia che tutto questo non esista effettivamente nella realtà.
O forse ha ragione Guadagnino: l'anima emotiva è un regalo perverso che la natura ci fa e il contesto socio-culturale ci affina o ci soffoca. Ed è difficile stabilire cosa è meglio.
Un'ultima annotazione: la scelta del titolo del film, Io sono l'amore, è a sua volta una citazione, dal film Philadelphia, che Emma sta guardando in televisione mentre è a letto; in particolare, la scena in cui Tom Hanks canta la famosa aria La mamma morta di Andrea Chénier, apice del pathos che caratterizza la parabola tragica del protagonista del film (qui la scena del film). In questa scena, appunto, Tom Hanks canta insieme a Maddalena/Maria Callas "Io sono l'amore". Ed è così ancora più significativo che l'arrivo di Tancredi a letto coincida con uno zapping che da La mamma morta porta indifferentemente e senza soluzione di continuità al Maurizio Costanzo Show e ad altri appiattiti varietà televisivi.
Voto: 3/5
martedì 30 marzo 2010
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