Si tratta di Rafiki (Amica), il film diretto dal regista keniota Wanuri Kahiu, la cui sceneggiatura è basata sul libro Jambula Tree e altre storie di Monica Arac de Nyeko.
Il film di Kahiu racconta una storia che nell'universo LGBT è stata già vista e sentita in tutte le varianti possibili e immaginabili. Due ragazze adolescenti si innamorano più o meno per caso e scoprono la magia di questo sentimento. Quando però la loro relazione viene scoperta dalle famiglie e dalla società, essa viene fortemente ostacolata e le stesse ragazze - trovandosi a fronteggiare qualcosa di più grande di loro - si allontanano.
Sebbene dunque la storia raccontata in Rafiki non sia certo originale, risulta invece certamente originale il contesto nel quale è ambientata. Le protagoniste, Kena (Samantha Mugatsia) e Ziki (Sheila Munyiva), sono due ragazze che vivono alla periferia di Nairobi. La prima, i cui genitori sono separati, vive con la madre e aiuta il padre John - che è anche candidato alle elezioni locali - nella gestione di un negozio di alimentari. Trascorre le sue giornate in giro per il quartiere con il suo skateboard, ovvero chiacchierando al chiosco di Madam Atim con i suoi amici, tra cui Blacksta, che è innamorato di lei, o ancora partecipando alle loro partitelle di calcio. Ziki, il cui padre pure è candidato alle elezioni locali, trascorre invece le sue giornate improvvisando coreografie per strada con due amiche.
La prima è timida e un po' mascolina, l'altra ha un'acconciatura molto elaborata e colorata, le unghie laccate ed è molto femminile.
Nelle loro vite riconosciamo dunque quelle degli adolescenti di tutto il mondo, ma intorno a loro c'è molto di diverso: innanzitutto una città di cui si vede da lontano un centro moderno e tecnologico ma le cui periferie, anche quella dove vivono Kena e Ziki - che pure è una periferia da ceto medio - è caratterizzata da strade non asfaltate, pali della luce con fili pendenti e baracche che si alternano a case in muratura; in secondo luogo una vita del quartiere che ruota intorno alla chiesa e alle omelie del parroco e dove si respira un'atmosfera fortemente omofobica; in terzo luogo, un amore sconfinato per i colori e per le fantasie sgargianti che i protagonisti del film indossano ma di cui tappezzano anche gli interni delle case; infine, una comunicazione che oscilla continuamente tra l'uso della lingua locale, lo swahili, e l'inglese.
Rafiki diventa dunque l'occasione di gettare lo sguardo su una realtà, quella di una grande città africana com'è Nairobi, che conosciamo poco o che comunque conosciamo solo nel suo volto di povertà e disperazione. Qui invece ci troviamo in un mondo e in uno stile di vita che è riconoscibile per qualunque occidentale, che non farà dunque fatica a immedesimarsi nei sentimenti di Kena e Ziki o comunque a ricondurre loro e gli altri personaggi del film a figure vicine alla propria realtà.
Per questo fa ancora più male trovarsi di fronte a un certo punto del film, quando l'amore tra Kena e Ziki viene scoperto dalla comunità, a un vero e proprio linciaggio pubblico e all'arresto delle due ragazze, accusate di quello che in Kenia è ancora un reato punibile con 14 anni di carcere.
Qui il regista ha voluto regalare alla storia un possibile lieto fine (tra l'altro - pare - fortemente contestato in patria), ma è indubbio che la tematica omosessuale rappresenta ancora un tema bandito da questa società. Non a caso lo stesso film ha dovuto combattere una lunga battaglia prima per poter essere realizzato (cosa che è stata possibile solo grazie a finanziamenti arrivati dall'Europa e dagli Stati Uniti) e poi per poter essere distribuito, in particolare in patria, dove era stato inizialmente messo al bando.
Ben vengano dunque film come Rafiki che con il loro tocco leggero e la delicatezza con cui affrontano temi scomodi in patria permettono di gettare luce su realtà che non conosciamo e di sensibilizzare connazionali e pubblico straniero su contesti in cui c'è ancora tanta strada da fare per garantire il diritto alle persone di amare chi desiderano.
Voto: 3,5/5
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