martedì 7 maggio 2019

Rafiki. Immaginaria, Festival internazionale del cinema delle donne, Nuovo cinema Aquila

Quest'anno non riesco a garantire una presenza assidua ad Immaginaria, il Festival internazionale del cinema delle donne, pur avendolo sostenuto con una donazione che mi avrebbe consentito l'accesso a tutte le giornate. Complici altri impegni e un tempo veramente pazzo, con acquazzoni improvvisi di tipo monsonico, mi affaccio solo alla conclusione per la proiezione del lungometraggio vincitore di quest'anno.

Si tratta di Rafiki (Amica), il film diretto dal regista keniota Wanuri Kahiu, la cui sceneggiatura è basata sul libro Jambula Tree e altre storie di Monica Arac de Nyeko.

Il film di Kahiu racconta una storia che nell'universo LGBT è stata già vista e sentita in tutte le varianti possibili e immaginabili. Due ragazze adolescenti si innamorano più o meno per caso e scoprono la magia di questo sentimento. Quando però la loro relazione viene scoperta dalle famiglie e dalla società, essa viene fortemente ostacolata e le stesse ragazze - trovandosi a fronteggiare qualcosa di più grande di loro - si allontanano.

Sebbene dunque la storia raccontata in Rafiki non sia certo originale, risulta invece certamente originale il contesto nel quale è ambientata. Le protagoniste, Kena (Samantha Mugatsia) e Ziki (Sheila Munyiva), sono due ragazze che vivono alla periferia di Nairobi. La prima, i cui genitori sono separati, vive con la madre e aiuta il padre John - che è anche candidato alle elezioni locali - nella gestione di un negozio di alimentari. Trascorre le sue giornate in giro per il quartiere con il suo skateboard, ovvero chiacchierando al chiosco di Madam Atim con i suoi amici, tra cui Blacksta, che è innamorato di lei, o ancora partecipando alle loro partitelle di calcio. Ziki, il cui padre pure è candidato alle elezioni locali, trascorre invece le sue giornate improvvisando coreografie per strada con due amiche.

La prima è timida e un po' mascolina, l'altra ha un'acconciatura molto elaborata e colorata, le unghie laccate ed è molto femminile.

Nelle loro vite riconosciamo dunque quelle degli adolescenti di tutto il mondo, ma intorno a loro c'è molto di diverso: innanzitutto una città di cui si vede da lontano un centro moderno e tecnologico ma le cui periferie, anche quella dove vivono Kena e Ziki - che pure è una periferia da ceto medio - è caratterizzata da strade non asfaltate, pali della luce con fili pendenti e baracche che si alternano a case in muratura; in secondo luogo una vita del quartiere che ruota intorno alla chiesa e alle omelie del parroco e dove si respira un'atmosfera fortemente omofobica; in terzo luogo, un amore sconfinato per i colori e per le fantasie sgargianti che i protagonisti del film indossano ma di cui tappezzano anche gli interni delle case; infine, una comunicazione che oscilla continuamente tra l'uso della lingua locale, lo swahili, e l'inglese.

Rafiki diventa dunque l'occasione di gettare lo sguardo su una realtà, quella di una grande città africana com'è Nairobi, che conosciamo poco o che comunque conosciamo solo nel suo volto di povertà e disperazione. Qui invece ci troviamo in un mondo e in uno stile di vita che è riconoscibile per qualunque occidentale, che non farà dunque fatica a immedesimarsi nei sentimenti di Kena e Ziki o comunque a ricondurre loro e gli altri personaggi del film a figure vicine alla propria realtà.

Per questo fa ancora più male trovarsi di fronte a un certo punto del film, quando l'amore tra Kena e Ziki viene scoperto dalla comunità, a un vero e proprio linciaggio pubblico e all'arresto delle due ragazze, accusate di quello che in Kenia è ancora un reato punibile con 14 anni di carcere.

Qui il regista ha voluto regalare alla storia un possibile lieto fine (tra l'altro - pare - fortemente contestato in patria), ma è indubbio che la tematica omosessuale rappresenta ancora un tema bandito da questa società. Non a caso lo stesso film ha dovuto combattere una lunga battaglia prima per poter essere realizzato (cosa che è stata possibile solo grazie a finanziamenti arrivati dall'Europa e dagli Stati Uniti) e poi per poter essere distribuito, in particolare in patria, dove era stato inizialmente messo al bando.

Ben vengano dunque film come Rafiki che con il loro tocco leggero e la delicatezza con cui affrontano temi scomodi in patria permettono di gettare luce su realtà che non conosciamo e di sensibilizzare connazionali e pubblico straniero su contesti in cui c'è ancora tanta strada da fare per garantire il diritto alle persone di amare chi desiderano.

Voto: 3,5/5

<!--[if gte mso 9]>

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!