mercoledì 29 maggio 2019

Normal

Il documentario di Adele Tulli si apre con le immagini subacquee di corpi femminili incinti che fanno acquagym in una piscina. I corpi senza volti, resi simili dall'uguale condizione nella quale si trovano, nonché isolati dal contesto, risultano buffi e suscitano il sorriso del pubblico.

Questa prima sequenza definisce il registro narrativo del film, che è infatti una successione di situazioni tratte dalla vita quotidiana, apparentemente scollegate le une dalle altre e isolate rispetto a un prima e un dopo, in modo tale da suscitare a seconda dei casi un sorriso divertito ovvero un presunto senso di superiorità o ancora un piccolo moto di indignazione: una bambina cui vengono fatti i buchi alle orecchie, delle ragazze dall'estetista, un raduno di motociclisti, dei ragazzi alle giostre e in particolare sul tagadà, delle mamme con bambini piccoli che fanno fitness nel parco, dei giovani a una festa sulla spiaggia, delle coppie a un corso prematrimoniale, una coppia di sposi impegnati nel servizio fotografico del loro matrimonio, un addio al nubilato, un bambino a una gara di minimoto, donne e uomini che lavorano in un'azienda di giocattoli ecc.

La domanda che sembra attraversare tutte queste sequenze è quanto delle differenze di genere tra maschi e femmine è intrinseco, strutturale, diciamo così "fisiologico", e quanto invece è il risultato di condizionamenti sociali e culturali. Una domanda che resta probabilmente senza risposta e a cui forse la regista non intende dare una risposta (sempre che la risposta esista), bensì piuttosto stimolare nello spettatore una riflessione in merito.

Insieme a questo tema, mi pare però che il film provi anche a suscitare una riflessione sulla forza della normalizzazione che le strutture sociali inevitabilmente producono, e che se da un lato è funzionale alla costruzione delle identità e delle comunità, dall'altro è il motore principale del conformismo e della forte spinta ad adeguarsi ai modelli e ai percorsi accettati e riconosciuti.

La sequenza finale del film che mostra un matrimonio gay con tanto di torta arcobaleno, bacio di rito e foto con i parenti sembra quasi comunicare che - anche superati i confini della rigida divisione di genere che così fortemente impregna la nostra società - resta invece la necessità delle "liturgie", dei "riti" e dei simboli che da un lato ci permettono di riconoscerci in un gruppo specifico, dall'altro ci fanno sentire parte di un sistema sociale più ampio che ha le sue regole e sembra non poter prescindere dalla definizione di una normalità che assorbe anche la differenza.

Un film tutto sommato semplice, che però - nella scelta di un punto di vista che è al contempo immersivo ed esterno - riesce a trasformare gli spettatori in osservatori delle proprie vite, perché - pur essendo alcune realtà osservate lontane se non lontanissime dalla propria vita - nessuno può dirsi estraneo alle regole del consesso sociale e ai suoi condizionamenti culturali sulle nostre scelte.

Voto: 3,5/5

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