Le cure domestiche / Marilynne Robinson; trad. di Delfina Vezzoli. Torino: Einaudi, 2016.
[Per chi non ha letto il libro premetto che nella recensione sono presenti SPOILER!]
Ruth e Lucylle sono sorelle, legatissime, quasi simbiotiche nel loro rapporto. Un giorno la loro madre, Helen, le porta - con la macchina di un'amica - nel Midwest, a Fingerbone, dove è nata, e dopo averle lasciate sulla soglia di casa della nonna con un pacco di crackers, si va a gettare nel grande lago vicino alla cittadina, dove molti anni prima è morto anche suo padre in seguito a un incidente ferroviario che è ancora nella memoria di tutti.
Delle due ragazzine si occuperà prima la nonna, una donna concreta che ha imparato a gestire da sola la vita dopo la morte del marito e l'abbandono quasi contemporaneo del tetto materno da parte delle figlie, poi le cognate di questa, che pur facendo il loro meglio si sentono e sono forse inadatte a crescere due bambine, infine Silvye, la sorella di Helen.
Nella prima metà del romanzo Marilynne Robinson tratteggia - con la sua scrittura poetica ed evocativa (facendo parlare in prima persona Ruth) - la storia familiare da cui provengono le due bambine, una storia fatta di figure decisamente poco convenzionali i cui pensieri profondi e le cui motivazioni individuali restano quasi sempre un mistero. Come lettori possiamo solo seguire Ruth nel suo percorso di scoperta e ricostruzione, in cui - com'è tipico della vita vera - non tutto è comprensibile e non tutto ha una spiegazione intellegibile.
Nella seconda parte il centro della narrazione viene occupato da Silvye, un personaggio complesso e sfuggente, naif e inafferrabile, certamente non estraneo alla storia familiare fin qui raccontata. Del passato di Silvye non sappiamo nulla, né lei vuole raccontarlo. L'eredità di questo passato è però una donna totalmente disallineata rispetto alle convenzioni sociali: veste e fa vestire Ruth e Lucylle con abiti inappropriati rispetto alla stagione, ogni tanto sparisce e non si sa dove sia andata, si incuriosisce ed entra in relazione con altri personaggi borderline come lei, accumula in casa oggetti senza un preciso scopo, lascia che la casa venga invasa dalla natura esterna e preferisce cenare al buio con le finestre aperte per non escludere il mondo esterno dalla vita all'interno delle mura domestiche.
Le sue stranezze, il suo stile di vita e il modo in cui cresce le bambine attirano presto l'attenzione e la riprovazione degli abitanti del villaggio. Di fronte a questo senso di non appartenenza si consumerà la separazione tra Lucylle e Ruth. La prima non sopporta di essere diversa e di non riuscire a integrarsi, e sceglierà a un certo punto di allontanarsi; l'altra sprofonderà ancora di più nel mondo di Silvye sposandolo emotivamente e infine scegliendo lo stile di vita erratico e solitario della zia.
Questa separazione si consumerà in seguito a un pericoloso ma salvifico attraversamento del ponte sul lago, lo stesso lago nel quale si sono inabissati senza salvezza il nonno e la madre di Ruth, e oltre il quale c'è la possibilità di scegliere di rispettare sé stessi e la propria natura.
In questo primo romanzo Marilynne Robinson ci accompagna - attraverso Ruth - in una specie di viaggio di formazione alla ricerca e alla scoperta dell'idea di famiglia e di casa nella quale ci riconosciamo e in cui ci sentiamo a nostro agio. Gli adulti - qui guardati con gli occhi di due bambine che possono solo affidarsi a loro - fanno quello che possono e, pur essendo tutti accomunati dall'affetto che hanno verso le bambine, rappresentano ognuno un diverso modello di cura inevitabilmente destinato a lasciare il segno su Lucylle e Ruth.
Nella crescita la scelta sarà poi sempre e soltanto individuale, perché non c'è storia familiare ed eredità che tolga forza alla responsabilità che ognuno di noi ha rispetto alla propria vita.
Voto: 4/5
venerdì 17 maggio 2019
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