Con Tori e Lokita i fratelli continuano ad accendere un faro sulla società belga e più in generale sulle ingiustizie della società contemporanea. Personalmente, sono uscita dalla sala pensando qualcosa del tipo "È tutto sbagliato. È tutto da rifare", ma sentendomi frustrata e impotente per l'inutilità di questo pensiero.
Qualcuno dice che i Dardenne fanno sempre lo stesso film: a me sinceramente non sembra vero. Non ho visto tutta la loro filmografia, ma anche solo pensando agli ultimi lavori mi pare che i temi siano numerosi e vari, e anche declinati in modi diversi, sebbene al centro ci siano sempre dilemmi morali importanti e senza risposte scontate. Di solito i registi lavorano per sottrazione, limitando al minimo le spiegazioni e le concessioni alla retorica, ma in alcune storie l'empatia e l'impatto emotivo sono più significativi, e sono i film che personalmente preferisco di più. Avevo amato a suo tempo Due giorni, una notte (anche grazie alla luminosa bellezza e bravura di Marion Cotillard), e devo dire che anche in questo ultimo film, forse più semplice ed esplicito sul piano narrativo, è riuscito a toccare corde profonde.
Tori (Pablo Schils) e Lokita (Joely Mbundu) sono due ragazzi di colore: il primo ha circa 11-12 anni, l'altra ne ha 18 o giù di lì. I due si presentano come fratelli e hanno certamente un legame molto forte, ma scopriremo solo più avanti la verità sul loro legame. Per entrambi la vita non è facile: Lokita viene ricattata dai neri che l'hanno portata in Europa e non riesce a mandare i soldi alla sua numerosa famiglia rimasta in Africa; entrambi spacciano per conto del cuoco di un ristorante italiano. Tori ha già i documenti, mentre Lokita è ancora impegnata nell'iter burocratico per ottenerli, e quando riceve l'ennesimo rifiuto decide di ottenerli illegalmente chiedendo aiuto al cuoco. Questo la costringerà a una discesa in uno stato di vera e propria schiavitù a servizio di una banda di coltivatori e spacciatori di marjiuana, condizione nella quale la sua unica forza e àncora di salvezza è Tori.
Non vi aspettate il lieto fine da un film dei Dardenne. Il loro sguardo - profondamente affettuoso e caldo nei confronti dei loro protagonisti - diventa invece ancora più disincantato e inflessibile nei confronti del mondo che li circonda, un mondo nel quale non sembra salvarsi nessuno né albergare quel minimo di umanità che ci si aspetterebbe o si auspicherebbe. Con questo racconto in cui la distinzione tra buoni e cattivi sembra quasi manichea e didascalica, i Dardenne - che certo sono ben consapevoli della complessità del mondo - probabilmente perseguono l'obiettivo di chiamare in causa gli spettatori, di non consentirgli di sentirsi a posto con la loro coscienza e di costringerli a mettersi in discussione interrogandosi sul nostro modo di porci rispetto a una società che con le sue stesse regole crea ingiustizie, disuguaglianze e sofferenze come quelle di Tori e Lokita.
Forse l'approccio dei Dardenne si è semplificato nel tempo, ma personalmente ne apprezzo l'impegno civile, ormai sempre più raro anche nel mondo del cinema.
Un'ultima cosa: la locandina italiana è disegnata da Manuele Fior (uno dei più bravi fumettisti italiani in circolazione), ed è molto interessante come operi per contrasto. Ci fa pensare a una fiaba spensierata rendendo l'effetto della visione del film ancora più dirompente.
Voto: 3,5/5
Voto: 3,5/5
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