martedì 25 novembre 2014

Due giorni, una notte

Sandra (Marion Cotillard) è una giovane moglie e madre di famiglia con due figli. È da poco uscita da una depressione, di cui porta ancora i segni e gli strascichi addosso. È pronta a riprendere il lavoro, ma il capo del personale della sua azienda ha deciso che i componenti del suo reparto dovranno votare se ottenere un bonus di 1.000 euro oppure far rientrare Sandra al lavoro, perché l'azienda non può permettersi entrambe le cose. Manu, suo marito (Fabrizio Rongione), la spingerà a contattare nel weekend i suoi colleghi di reparto per convincerne almeno nove a votare per lei.

Questa la scarna storia.

I fratelli Dardenne mettono in scena uno straordinario "dilemma del prigioniero" in chiave contemporanea, in cui ciascuno è messo di fronte alla scelta tra un umano senso di solidarietà e le proprie necessità materiali, se non addirittura tra la sopravvivenza altrui e la propria.

Il dramma sociale prodotto dalla crisi economica costituisce uno scenario perfetto per questa storia, ma non è quello che rende il film così intenso.

La carica dirompente del film nasce dall'innestarsi su di esso di un dramma tutto personale. Sandra è una donna sensibile e fragile. Attraversa uno di quei momenti nella vita in cui ci si sente profondamente soli (anche quando intorno a sé ci sono numerose evidenze del contrario), in cui i brevi momenti di fiducia e di voglia di reagire sono intaccati e quasi annullati da ogni - anche piccolo - segnale negativo vero o presunto, in cui il sovraccarico emotivo produce spesso il pianto o il tentativo di fuga, dal desiderio di annullarsi nel sonno a quello di cancellare se stessi col suicidio.

Sandra incontra a uno a uno i suoi colleghi, ciascuno portatore di una storia pregressa o attuale che deflagra di fronte al dilemma morale e materiale determinato di volta in volta da sentimenti di amicizia, insoddisfazione personale, problemi familiari, aggressività individuale, paure, comportamenti sleali.

Il tutto in due giorni e una notte, durante i quali le cose non necessariamente si risolvono e alla fine dei quali la vita non sarà più facile, ma che innescano il processo di rinascita di Sandra, quel clic che scatta dentro di lei, facendole ritrovare se stessa e riscoprire il proprio valore. Quella condizione da cui guardare alla propria vita e al mondo intorno con rinnovate forza e fiducia, non perché sia cambiato qualcosa, ma perché è cambiato il nostro asse interiore riequilibrandosi.

Marion Cotillard è straordinariamente credibile. Ha quest'aria persa, sfatta, sempre come se si fosse appena svegliata - come dice M. -, eppure è tenera e piena di vita. La telecamera dei registi gli sta sempre addosso, per buona parte del film quasi appollaiata sulla spalla. Incombe su di lei e noi, insieme alla telecamera, ci sentiamo bloccati quando Sandra si scoraggia e al contempo vorremmo spingerla, quasi costringerla a buttarsi nella mischia, a provarci.

La ripetizione delle azioni, nonché delle parole, con cui Sandra si ritrova davanti a un campanello da suonare e a una persona cui chiedere di rinunciare a 1.000 euro per consentirle di riprendere a lavorare è come un concentrato di esperienze, una possibilità unica di sperimentarsi di nuovo e di nuovo nella relazione con gli altri, un'occasione di imparare - a poco a poco e nello stesso tempo in maniera accelerata - a reagire al rifiuto e alle malignità e ad apprezzare l'affetto e l'attenzione degli altri, senza che niente di tutto questo metta veramente in discussione il proprio essere.

Meno credibile la figura di Manu, suo marito, una vera roccia, l'emblema stesso della stabilità, sempre misurato, sempre costruttivo, sempre profondamente fiducioso e innamorato. Forse un po' troppo, ma non ci lamentiamo, una volta tanto che i fratelli Dardenne riescono a farci intravedere uno spiraglio di luce nel buio della vita.

Marion Cotillard è bella e brava in misura indicibile, ma certo sono di parte. Però questa volta la devo davvero ringraziare perché non solo mi ha fatto tornare - solo per amore suo (!) - a vedere un film dei Dardenne, ma mi ha anche fatto riconciliare con il cinema dei due fratelli belgi.

Il mio amico olandese M. alla fine del film mi ha fatto riflettere su una cosa. Noi italiani diciamo spesso: "Eh, la vita è così. Purtroppo". Forse dovremmo cominciare a dire: "Eh, la vita è così. Per fortuna!". E forse anche i Dardenne cominciano a pensarla un po' in questo modo.

Voto: 4/5

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