Seguo Nicoz Balboa dal primo graphic novel che ha scritto, Born to lose, e mi sono fin da subito innamorata del suo stile davvero originale sia a livello di disegno (incasinato, pasticciato, disordinato, ma al contempo estremamente raffinato) sia a livello narrativo (ho sempre definito i suoi lavori dei diari in forma grafica, ma lui chiarisce in questo suo ultimo lavoro che non si tratta strettamente di autobiografia, bensì di autofiction, che è cosa ben diversa).
Negli ultimi due lavori, Play with fire e quest'ultimo Transformer, Nicoz si è addentrato sempre di più - anche in virtù della scelta di intraprendere un percorso di transizione - in temi delicati e complessi che lo riguardano da vicino, ma che riguardano anche molte altre persone, ossia l'appartenenza di genere e l'orientamento sessuale.
In un certo senso Transformer è la messa a fuoco di quanto era presente già - seppure in maniera ancora confusa e incerta - in Play with fire, ossia la presa di coscienza della propria disforia di genere e la decisione di intraprendere la strada della transizione, e nel frattempo di comprendere anche il proprio prevalente orientamento sessuale.
Ne viene fuori il racconto di un percorso in cui le paure, le insicurezze, le problematicità sono tante, ma anche i momenti di euforia che coincidono con quelli in cui il protagonista si sente a suo agio e riconciliato con sé stesso. Questa alternanza di stati d'animo e di condizioni va di pari passo con la consapevolezza che la scelta della transizione richiede pazienza e accettazione dell'incertezza, perché non c'è un pulsante ON/OFF che consenta di switchare facilmente e totalmente da uno all'altro.
Io personalmente sono piuttosto convinta che il genere - e in una certa misura anche l'orientamento sessuale - non siano un dato immobile nel tempo e che è inscritto in maniera immutabile in ciascuno di noi, bensì siano il frutto di una rinegoziazione che va avanti tutta la vita. E ho scoperto che questa è anche la posizione della psicologa Carol Gilligan, sebbene io l'abbia letta indirettamente perché citata nel libro di Pablo Sendra e Richard Sennett, Progettare il disordine (Roma, Treccani, 2020).
È anche per questo - oltre che probabilmente per il fatto che appartengo a una generazione sempre meno al passo con i tempi - che faccio fatica a prendere una posizione netta in merito a temi così complessi.
Però per fortuna mantengo la capacità di comprendere, di empatizzare, e soprattutto di rispettare le scelte altrui, quando sono fatte nella piena libertà e ci si assume la responsabilità delle stesse. In questo senso la storia di Nicoz aiuta certamente a capire la sofferenza di chi ha vissuti diversi dal nostro, a non costruire steccati, bensì ad accogliere le scelte degli altri. Chiaramente le questioni sono complesse né Nicoz ha alcuna pretesa di dare risposte valide per tutti e soprattutto non necessariamente per tutte le situazioni, però racconta con sincerità la propria personale battaglia per diventare sé stesso e soprattutto per provare a essere felice.
Voto: 3,5/5
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