Si ricomincia la stagione cinematografica quando il cinema in Italia è ancora avaro di nuove uscite. In attesa che settembre porti con sé nuovi film interessanti, io e F. decidiamo di andare a vedere questo film del regista islandese Baltasar Kormákur, che si svolge a cavallo tra due paesi e due culture che apprezzo particolarmente, ossia l'Islanda e il Giappone.
Siamo nella primavera del 2022 quando tutto il mondo sta chiudendo i battenti di fronte all'avanzare della pandemia da Sars-Cov-2. Il protagonista Kristofer (Egill Ólafsson) è un uomo piuttosto avanti con gli anni che sa di andare incontro a una malattia neurologica degenerativa e a cui il medico consiglia di approfittare fino a quando è ancora lucido per sciogliere i nodi irrisolti della vita. È così che Kristofer decide di chiudere il suo ristorante e di partire alla ricerca di Miko, la ragazza giapponese che aveva conosciuto e di cui si era innamorato ai tempi in cui viveva a Londra e aveva deciso di abbandonare gli studi per lavorare in un ristorante giapponese.
Il presente in cui Kristofer lascia l'Islanda e va prima a Londra a cercare le tracce della donna amata e poi in Giappone a incontrarla si alterna alle immagini degli anni Settanta e alla storia di come l'allora giovane Kristofer (Palmi Kormákur, figlio del regista) conobbe la figlia del suo datore di lavoro (la modella e cantautrice Kôki) e se ne innamorò, ricambiato. Poi le cose non andarono come previsto, anche in seguito all'intervento del padre di Miko (genitore single dopo la morte della moglie nella tragedia del lancio della bomba atomica su Hiroshima), e Kristofer fece ritorno in Islanda, dove mise su famiglia, pur senza avere figli propri.
A poco a poco le fila del racconto vanno dipanandosi, aiutandoci a comprendere come la vita e il futuro di questi due giovani siano stati condizionati dal peso della storia, dall'ignoranza e dalla pressione sociale.
Il film di Kormákur è, in estrema sintesi, una storia d'amore che attraversa il tempo e lo spazio, e non posso negare che la delicatezza di fondo di questo racconto e dei suoi personaggi, sostenuta da scelte estetiche e di sceneggiatura coerenti, sia riuscita a toccare i miei sentimenti e mi abbia anche in parte commosso.
Touch non è un capolavoro, e soffre della semplificazione che il romanticismo inevitabilmente porta con sé nonché del tentativo - forse un tantino pretenzioso - di mettere insieme una storia d'amore con eventi ben più grandi della vita delle singole persone, ossia la bomba atomica e la pandemia. Anche la Londra degli anni Settanta e il ristorante giapponese in cui Kristofer lavorava mi hanno dato eccessivamente l'impressione di una ricostruzione da studio cinematografico con apposito color grading, una specie di sogno (che poi è forse una scelta voluta del regista che trasforma la realtà del passato filtrandola attraverso i ricordi del protagonista), ma tutto ciò toglie secondo me un po' di mordente alla forza dei sentimenti e alla verità della storia.
Però gli attori trasmettono empatia, la vicenda è delicata e trattata con amore da parte del regista, e dà allo spettatore la possibilità di rituffarsi nell'esperienza recente dello scoppio della pandemia che appare lontanissima nella nostra percezione ma in realtà risale a soli due anni e mezzo fa.
In conclusione, in assenza di capolavori in sala, mi sento di consigliare questo film, ché di sentimenti delicati ne abbiamo bisogno sempre.
Voto: 3/5
venerdì 6 settembre 2024
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