venerdì 27 settembre 2024

Vermiglio

In attesa della settimana full immersion della rassegna Da Venezia a Roma, vado a vedere Vermiglio, il film di Maura Delpero (di cui non avevo visto il precedente Maternal) che ha vinto il Leone d’argento a Venezia, ossia il gran premio della giuria.

Siamo appunto a Vermiglio, un paesino della Val di Sole in Trentino, luogo di origine del padre della regista. È il 1944, la guerra è ancora in corso, ma non la si vede con i propri occhi. Il racconto si incentra sulla famiglia Graziadei, il cui capofamiglia è Cesare, un uomo austero, ma non burbero (Tommaso Ragno), che fa il maestro per i bambini e gli adulti del paese (ancora in gran parte analfabeti o che conoscono solo il dialetto), e che nella sua stanza privata coltiva la sua passione per la musica, e non solo. Cesare vive con la moglie e i numerosi figli: dai più grandi Lucia e Dino, ad Ada (adolescente inquieta), a Flavia, fino ad arrivare ai tre bambini maschi e infine al neonato. Com'era tipico di quei tempi, nonostante la povertà, di figli se ne facevano tanti e qualcuno purtroppo non superava malattie anche piuttosto banali, e anche i Graziadei hanno perso così due bambini molto piccoli.

Intorno ai Graziadei una comunità piccola, che come tutte le comunità piccole è caratterizzata da una grande coesione, ma anche da pregiudizi, arretratezze, ipocrisie e maldicenze.

Il “tranquillo” tran tran di questa comunità viene interrotto dall'arrivo di Pietro, un soldato siciliano che ha disertato insieme ad Attilio, uno dei giovani di Vermiglio che era partito per la guerra e che proprio grazie a Pietro è riuscito a tornare a casa illeso, ma certamente trasformato nell'animo.

Perché nel film della Delpero la guerra non si vede, ma si sente negli sguardi di chi torna e non è più lo stesso, di chi ha perso i propri cari sul fronte, di chi non ne riceve notizie da tempo.

Di Pietro si innamora Lucia, la figlia grande dei Graziadei, ma tutto intorno a questo evento anche gli altri componenti della famiglia fanno i loro percorsi: Dino che si fa adulto e non riesce a fare pace e a sentirsi accolto dal padre, Ada che deve fare i conti con i turbamenti dell’adolescenza e la loro contraddizione con i dettami religiosi tanto da imporsi penitenze sempre più severe, Flavia che è molto brava a scuola e che per questo – oltre che per la chiara predilezione del padre - è destinata (a differenza delle altre figlie) ad andare a studiare in città, i tre bambini più piccoli che non comprendono tutto quello che accade intorno a loro ma si fanno portavoce – a volte in maniera distorta, ingenua e divertente – di quello che sentono dagli adulti.

La fine della guerra, il matrimonio di Pietro e Lucia, il viaggio di Pietro in Sicilia e la nascita della loro bambina Antonia, avranno una serie di conseguenze destinate a cambiare gli equilibri della piccola comunità, e costringeranno ognuno dei protagonisti di questa storia a guardare al futuro con occhi diversi.

Nel segno del cinema di Ermanno Olmi e Giorgio Diritti, Maura Delpero tratteggia con perizia, attenzione e con una chiara vena incantata e poetica una piccola comunità arcaica, che ci sembra lontanissima nel tempo, ma non è (nel mio caso ci ho riconosciuto alcuni racconti dei miei genitori, nati entrambi nel 1939).

Personalmente, la cosa che mi ha colpita di più – e che probabilmente è in un certo senso un tratto caratteristico di quel mondo e forse anche di quel contesto geografico-culturale – è il volume degli eventi. Tutto nel film della Delpero, anche gli eventi più tragici e le situazioni drammatiche o delicate, risultano attutite, quasi smorzate dalla neve che ricopre le montagne circostanti. Tutto è in sordina, perché quella è una società in cui – anche se tutti sanno tutto – tutto resta sotto traccia: niente è urlato, tutto intuito. Cosicché anche quanto emerge chiaramente in merito alla condizione femminile non viene rappresentato in modo da suscitare una reazione indignata nello spettatore, bensì una riflessione pacata, ma non meno netta. Non ci sono buoni e cattivi nel film della Delpero: il capofamiglia non è senza difetti ed è un chiaro prodotto di una società patriarcale, ma non è detestabile e a tratti dimostra una finezza di pensiero; la moglie e madre, pur inevitabilmente sottomessa, non è una figura scialba e inesistente, ma emerge con tutta la propria forza; e così ciascuno dei figli, soprattutto i più grandi, da Lucia a Flavia, cercano ognuno il proprio posto nel mondo facendo i conti con una società in cui sembra non esserci posto per chi devia dal cammino tracciato e che in quel cammino dovranno trovare il proprio modo – anche anomalo – di vivere la propria vita.

Un film pacato, soffuso, realistico e fiabesco al contempo, che va gustato in questo suo modo di essere, senza aspettarsi altro.

Voto: 3,5/5



1 commento:

  1. Bella, bella recensione. Che condivido in pieno. Soprattutto sulla delicatezza e sull'atmosfera ovattata che copre gli eventi più significativi. E' vero: la neve smorza i toni e lascia tutto latente ma sotto il fuoco ribolle... film non proprio per tutti, non facilmente digeribile, ma umanissimo e dolente. Sono molto d'accordo.

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