Al Museo di Roma in Trastevere, nel cuore di uno dei quartieri più caratteristici della Capitale, sono in mostra oltre 120 fotografie in bianco e nero, una selezione di scatti a colori, alcuni filmini in Super 8 e alcuni provini di Vivian Maier.
La storia di questa fotografa ha davvero del misterioso e dell'incredibile. A chi vuole approfondire suggerisco la visione del bel documentario Alla ricerca di Vivian Maier. La tata con la Rolleiflex.
In pratica, l'attività fotografica di Vivian Maier è stata scoperta in tempi recentissimi dopo che l'agente immobiliare e collezionista John Maloof ha comprato a un'asta una scatola piena di rullini non sviluppati, contenenti le foto incredibili di una fotografa sconosciuta e di cui nessuno sapeva assolutamente nulla. Maloof ha poi scoperto che Vivian Maier faceva la governante e la baby sitter e che la sua produzione fotografica estesissima (oltre 100.000 immagini) non era mai stata mostrata in pubblico e in buona parte mai sviluppata.
Ebbene, la mostra attualmente in corso al Museo di Roma in Trastevere è un'occasione per avvicinarsi a questo misterioso personaggio e per provare a capirne la "poetica" senza poter sapere quasi nulla di lei come persona.
Innanzitutto, la fotografia di Vivian Maier è street photography in tutte le sue declinazioni. La maggior parte delle sue foto sono scattate nelle strade di New York e di Chicago, le due città dove ha vissuto e dove ha svolto il suo lavoro di bambinaia. Oggetto delle sue foto sono principalmente le persone, che ne sono protagoniste in tanti modi diversi: in veri e propri ritratti, in situazioni quotidiane e/o buffe, guardate attraverso un vetro o da dietro una finestra, ritratte alle spalle, rappresentate in dettagli (gambe, schiene, accessori...). Oltre alle persone ci sono anche i paesaggi urbani, talvolta protagonisti delle foto, altre volte cornici rispetto ai protagonisti umani. Infine Vivian Maier ha una vera e propria passione per gli autoritratti, attraverso specchi e superfici riflettenti di ogni tipo, ma anche indirettamente, ossia mediante la propria ombra o addirittura i propri vestiti posati per terra.
Il tutto fotografato con la mitica Rolleiflex, una macchina fotografica con inquadratura a pozzetto e pellicola con fotogrammi quadrati, le cui stampe sono quelle che per la maggior parte vediamo esposte in questa mostra. Il formato quadrato - oggi pochissimo utilizzato - è una vera sfida compositiva per il fotografo rispetto al formato rettangolare cui siamo abituati, ma sembra essere perfettamente padroneggiato - forse anche per l'abitudine ad utilizzarlo - dalla Maier. Di fronte alle sue foto quadrate non rimpiangiamo mai il formato rettangolare, anzi paradossalmente quando ci troviamo di fronte alle foto a colori degli anni Settanta realizzate in formato rettangolare con un'altra macchina fotografica abbiamo la sensazione che l'occhio fotografico della Maier sia rimasto ancora legato al formato quadrato e fatichi ad adattarsi.
Molto interessanti anche i filmini in Super 8 che in qualche modo riproducono, mediante le immagini in movimento, le stesse modalità con cui la fotografa sembra stare in mezzo alla gente quando fa le fotografie, ossia quel misto di curiosità, interesse, ma anche morbosità di una persona che sembra quasi nascondersi dietro la macchina fotografica o la videocamera, o avere questa come unica modalità partecipativa alla vita sociale che le scorre intorno.
Interessante dare un'occhiata ai provini presenti nell'ultima sala, dove viene anche proiettato un piccolo documentario realizzato da John Maloof. La visione dei provini riserva qualche ulteriore sorpresa. Sarà che il rullino della Rolleiflex conteneva solo 12 o al massimo 24 fotogrammi, però è molto interessante osservare che la Maier non scatta molte varianti della stessa situazione, anche quando la situazione lo consentirebbe. Il che ci fa ancora più pensare sul modo di fotografare di questa donna, ossia sull'attenzione e la sicurezza con cui sceglie il suo soggetto o la situazione di suo interesse e riesce a comporla già correttamente e ad esserne sicura al primo tentativo.
Insomma Vivian Maier è un mistero che però parla attraverso le sue fotografie e lo fa con il linguaggio dell'ironia, dell'austerità, della bellezza, della morbosità, della tenerezza e in modi in cui forse neppure chi l'ha conosciuta ha veramente potuto apprezzare, mentre invece traspaiono potentemente dalla sua arte.
Adoro la fotografia. Anche per questo.
Voto: 4/5
sabato 1 aprile 2017
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