
È già una piacevole serata di primavera a Roma quella che accoglie i Sodastream sul palco. Prima di loro a preparare l'atmosfera ci pensa Gareth Dickson, un buffo scozzese che ci parla un po' in italiano e un po' in spagnolo, e che è quasi totalmente assorto negli arpeggi della sua chitarra acustica, con la quale ci propone diverse canzoni del suo repertorio e la cover di Atmosphere dei Joy Division.

Ma ecco che sul palco salgono Karl Smith e Pete Cohen. I due si assomigliano talmente tanto che penso siano fratelli, cosa che ovviamente non è; ma forse, come spesso accade nei sodalizi di lungo corso, si finisce per assomigliarsi anche quando non si ha alcuna parentela.

Karl svolge il suo ruolo di voce principale nonché di musicista a seconda dei casi alla chitarra oppure al pianoforte, ossia lo strumento che forma l'ossatura delle canzoni dei Sodastream . Ma se ci fermassimo qui le canzoni dei Sodastream forse ci risulterebbero qualcosa di già sentito e non particolarmente originale. È invece il modo in cui il contrabbasso e il controcanto di Pete vanno a innestarsi sulla trama delle canzoni che trasforma melodie semplici in fioriture musicali dotate di una personalità originale e di spessore. La leggerezza di Karl e la fisicità di Pete sono perfettamente complementari, una specie di yin e yang, che insieme formano un insieme armonioso e compiuto.

Al termine i due scendono dal palco, ma è immediatamente ovvio che il pubblico li vuole sentire suonare ancora. Tra l'altro la chiesa non ha neanche un backstage e dunque Karl e Pete sono davanti a noi ad aspettare un responso che non si fa attendere.
Eccoli ancora di nuovo sul palco con altre tre canzoni che rappresentano in qualche modo la giusta conclusione di un concerto molto bello e trascinante, animato da due musicisti veri, ma anche umili, che non a caso appaiono molto tesi all'inizio per poi sciogliersi progressivamente nell' "abbraccio" del pubblico.
Voto: 4/5
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