È in programmazione fino al 10 gennaio al Teatro Eliseo di Roma l'opera teatrale Il dio della carneficina, dell'autrice francese di origine iraniana Yasmine Reza.
La pièce ha avuto uno straordinario successo in Francia ed è stata rappresentata in numerosi altri paesi europei, coinvolgendo grandi attori, da Isabelle Huppert a Ralph Fiennes.
Anche a Roma, dove questa è la seconda stagione teatrale in cui l'opera viene portata in scena, il cast è di tutto rispetto: Silvio Orlando, Anna Bonaiuto, Alessio Boni e Michela Cescon, per la regia di Roberto Andò.
Siamo in un interno borghese dove due coppie si incontrano per discutere come gestire le conseguenze di un violento litigio tra il figlio dell'una e quello dell'altra. Tutto comincia su toni molto moderati e formali, ma - man mano che il confronto va avanti -, complice un malore e un po' di rum, il dialogo diventa acceso non solo mettendo in contrapposizione le due coppie, ma anche marito e moglie all'interno di ciascuna coppia. Le ipocrisie borghesi vengono messe a nudo e derise, la presunta civiltà occidentale ne esce a pezzettini, la famiglia rivela il suo vero volto... Ossessioni, paranoie e schizofrenie sembrano essere la cifra dominante delle persone in una società che evidentemente non ci dà la possibilità di entrare davvero in contatto con noi stessi.
Eppure, nonostante tutto questo, si ride, riconquistando quella leggerezza che i protagonisti ammettono di aver definitivamente perso.
Gli attori sono tutti bravissimi. Poco da dire su Silvio Orlando, che incarna alla perfezione il suo personaggio crudelmente dimesso, ed è in grado di conferirgli - non solo attraverso le parole - uno spessore e un colore straordinari.
Vorrei spendere qualche parola in particolare per Michela Cescon, già apprezzata attrice per Garrone in Primo amore e per Bellocchio in Vincere, che dimostra la sua versatilità nell'interpretare un ruolo tra il comico e il melodrammatico, facendoci alla fine risultare addirittura simpatico il suo personaggio.
Certo, mi colpisce sempre del teatro quel ritmo narrativo un po' sincopato, quell'unità di tempo e luogo cui il cinema e la televisione ci hanno disabituati. Ma forse il teatro, proprio per questo suo collocarsi volontariamente sopra le righe senza voler necessariamente scimmiottare la realtà, ci restituisce un'immagine più vera di quello che siamo nella nostra essenza.
Voto: 3,5/5
sabato 9 gennaio 2010
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