Confesso. Il libro (L'eleganza del riccio) non l'ho letto, nonostante mi sia stato regalato ormai diversi mesi fa da un'amica. Ma con i libri io sono fatta così... Non li degno a lungo di uno sguardo, fino a quando una vocina interiore mi spinge a leggerli. In questo caso, poi, il gran tam tam mediatico che ha suscitato me lo ha reso inviso e, dunque, aspetto il momento in cui tutti se ne saranno dimenticati per leggerlo.
E, dunque, - come dicevo - il libro non l'ho letto e, quindi, non sono in grado di dire se Muriel Barbery ha ragione ad essersi arrabbiata così tanto per questa trasposizione cinematografica, al punto da disconoscerla e da costringere la regista Mona Achache ad usare la formula "Liberamente tratto da...". In ogni caso, non importa, perché fondamentalmente credo che tutte le volte che un film è tratto da un libro questo confronto competitivo tra i due sia totalmente insensato. Si tratta di linguaggi profondamenti diversi e che puntano su un diverso rapporto con il lettore/spettatore, i punti di forza dell'uno sono quelli di debolezza dell'altro e viceversa. In pratica, hanno in comune solo la storia, che nelle realizzazioni migliori è la cosa meno importante, in un caso come nell'altro.
Perciò, tutto sommato, meno male che non ho letto il libro perché questo mi permette di dare un giudizio più spassionato e sereno sul film.
La storia è piuttosto semplice e ruota intorno a tre personaggi che vivono in uno stabile di un quartiere alto-borghese di Parigi: Renée Michelle (Josiane Balasko), la portinaia, Paloma (Garance Le Guillermic), la figlia quasi dodicenne di un Ministro, e Kakuro (Togo Igawa), distinto signore giapponese che va ad abitare nel palazzo dopo la morte di un inquilino.
Renée è il prototipo della portinaia, sciatta, brutta e ignorante, Paloma è una bambina troppo sveglia per la sua età che ha deciso di suicidarsi il giorno del suo dodicesimo compleanno, Kakuro è il pigmalione che aiuterà a svelare la vera natura delle cose.
Insomma, apparentemente è un po' una favoletta, un po' una Cenerentola rivisitata. Ma... nella sua apparente semplicità l'ho trovato "elegante" appunto, capace con una sostanziale leggerezza di toccare temi importanti: l'insensatezza e l'implosione della società borghese, il divario tra essere ed apparire, l'incomunicabilità e l'incapacità di entrare realmente in relazione con gli altri, la tristezza della ripetitività cui siamo condannati e, ancora una volta, il senso della vita e della morte.
Quanto mi piace la metafora che Paloma utilizza per rappresentare le persone che ha intorno! Dei pesci rossi in una boccia di vetro, destinati a girare in tondo e a cozzare sempre con gli stessi limiti fisici e mentali.
Non so se vi ricordate il manifesto pubblicitario dello spettacolo Delirio di Beppe Grillo. Ebbene, ogni tanto dico che tutti noi sembriamo proprio quel pesce rosso, non solo siamo in una boccia di vetro, ma non sappiamo che quella boccia di vetro è un frullatore pronto insensatamente a stritolarci. E certe volte non c'è dubbio sul fatto che io mi senta un pesce rosso nel frullatore...
E allora, come si sfugge a quel destino che, come dice Paloma, tutti in qualche modo abbiamo già scritto sulla fronte? Meglio morire prima di finire nella boccia di vetro di una vita standardizzata, incolore e infelice? O forse la strada è coltivare il proprio spazio di ricchezza interiore, il proprio tesoro di sensibilità racchiuso dietro una porta chiusa a chiave o sotto una corazza di aculei? O ancora la strada è mantenere uno sguardo curioso e pulito sul mondo e sugli altri per riconoscere la bellezza anche dove non è apparente e per scoprire dove si annidano quei piccoli tesori nascosti allo sguardo dei più?
Il pesciolino rosso in fondo non è stupido e rassegnato come sembra; e se un insospettabile istinto di sopravvivenza lo fa ricomparire nello scarico di Renée è perché bisogna sempre darsi un'altra possibilità.
Voto: 3,5/5
domenica 31 gennaio 2010
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