Ci arriva con la spavalderia di chi non ha paura di sognare e realizzare in grande.
Enea (lo stesso Castellitto) è il primogenito di una ricca famiglia di Roma nord: il padre Celeste (interpretato dal padre Sergio Castellitto) fa lo psicanalista, mentre la madre (Chiara Noschese) conduce un programma televisivo che parla di libri. Enea ha anche un fratello più piccolo, Simone (interpretato dal fratello minore di Pietro, Cesare Castellitto), e un migliore amico, Valentino (Giorgio Quarzo Guarascio, anche musicista con il nome di Tutti Fenomeni), che ha appena preso il brevetto come pilota di aerei da turismo.
Tutti questi personaggi si muovono all'interno degli ambienti della Roma bene, tra case e ragazze bellissime, domestici in livrea, ristoranti di livello, feste in posti esclusivi con fuochi d'artificio, e così via. Ma, nonostante e forse a causa di tutto questo, Enea e Valentino sono costantemente alla ricerca dell'adrenalina che li sollevi dal baratro depressivo al bordo del quale costantemente viaggiano. È per questo che, nell'ambito della loro ordinaria attività di spaccio di cocaina negli ambienti che frequentano, si ritrovano a un certo punto coinvolti in un affare di grandi proporzioni, nel quale sono coinvolti boss importanti della malavita locale, e - nel rischiare il tutto per tutto in esso (non per soldi, ma per pura noia) - i due ragazzi andranno incontro al loro destino.
Che film è Enea? A mio modo di vedere è una Suburra ambientata a Roma nord, "impreziosita" da echi sorrentiniani, sia a livello estetico che a livello di registro (come è evidente negli inserti grotteschi e kitsch). Si potrebbe anche dire che Enea è una visione capovolta, ma speculare de La terra dell'abbastanza dei fratelli D'Innocenzo (che tra l'altro appartengono alla stessa generazione di Castellitto figlio).
Si vede benissimo che Pietro Castellitto nel cinema ci sta a suo agio e di film ne ha macinati tanti (tra le altre cose, la scena della festa mi ha fatto pensare a quella di Chazelle in Babylon), e si capisce anche che il ragazzo ha mestiere e vuole mostrarlo quasi a tutti i costi: il film è una sequenza quasi continua di inquadrature, girato e scelte registiche originali e piene di inventiva (o quanto meno di mestiere), al limite della stucchevolezza.
Premesso che non è esattamente il mio genere di film e che c'è anche un problema di distanza generazionale, due sono gli aspetti che non mi fanno esprimere un giudizio positivo sul film: un aspetto è di matrice soggettiva - mi rendo conto - ossia il fortissimo egocentrismo/narcisismo del regista/attore protagonista, che mette sé stesso in quasi ogni inquadratura e parla di sé stesso (e della sua famiglia); il secondo invece è un elemento più oggettivo: una sceneggiatura che personalmente ho trovato a tratti fastidiosa nel suo essere pretenziosa, fin dalla prima sequenza, in cui i personaggi parlano di cose che dovrebbero essere delle alte riflessioni esistenziali e invece sono delle assolute banalità. E un po' il film da questo punto di vista procede così. Qualcuno mi fa notare che forse si tratta di un'enorme parodia, quindi un doppio salto mortale per cui si ironizza sulla presunta profondità di questi discorsi ben sapendo che sono delle banalità. Però - mi viene da dire - se tutto è parodia, niente è parodia.
In conclusione, il ragazzo è bravo (e si avvale di tante collaborazioni interessanti: Luca Guadagnino è tra i produttori del film, la colonna sonora è di Niccolò Contessa, aka I Cani), ma rischia di schiantarsi contro un muro se pensa di proseguire la sua produzione cinematografica andando a questa velocità.
Voto: 3/5