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It was just an accident = Un semplice incidenteEd eccoci alla proiezione del film vincitore della Palma d’oro a Cannes, It was just and accident (Un semplice incidente), l’ultimo film di Jafar Panahi che è presente alla festa del cinema di Roma (insieme alla moglie e alla figlia) per ricevere il premio alla carriera dalle mani di Giuseppe Tornatore. Nel discorso di ringraziamento Panahi non si fa sfuggire l’occasione di omaggiare il cinema italiano, in particolare il neorealismo, che tanta parte – dice – ha avuto nella sua formazione e nella definizione del suo cinema.
Tornato a fare film dopo l’incarcerazione da parte del regime iraniano, Panahi non dimentica l’esperienza che ha vissuto e la rilegge attraverso una storia che è un po’ un buddy movie e un po’ un road movie, e che riesce miracolosamente a mantenersi in bilico tra la commedia, il dramma e la denuncia politica e sociale, ma che non rinuncia nemmeno al registro ironico, che a tratti diventa anche grottesco, per poi sorprenderci con un finale aperto da thriller, che ogni spettatore è chiamato a interpretare secondo la propria sensibilità.
Tutto comincia con una tranquilla famigliola, padre, madre e figlia, che rientrano di notte in macchina verso casa: durante questo viaggio prima accade che la macchina investe e uccide un cane sulla strada, poi ha un guasto che li costringe a fermarsi per chiedere aiuto. In questa circostanza, un uomo riconosce nel guidatore Eghbal (Ebrahim Azizi), l’uomo che durante la sua prigionia dovuta alla partecipazione a uno sciopero lo aveva bendato e poi torturato psicologicamente. Da allora Vahid (Vahid Mobasseri) è perseguitato dal rumore sinistro della protesi che il suo aguzzino ha al posto della gamba che ha perso in Siria.
Vahid sequestra quello che ritiene essere Eghbal, ma quando sta per seppellirlo vivo in un luogo deserto si fa venire il dubbio di aver sbagliato persona e dunque va a cercare altre persone che sa aver subito da lui lo stesso trattamento in carcere per farsi aiutare nel riconoscimento. Si forma così una strana combriccola formata da Vahid, Shiva, una sua ex fidanzata che fa la fotografa, una coppia di sposi in abiti da matrimonio, e Salar.
Senza andare oltre nel racconto della trama, per non togliere niente alla sorpresa, basti dire che Panahi – il cui film è girato quasi tutto in esterni, dentro e intorno a un furgoncino – nonostante quello che ha passato ci va giù comunque durissimo con il suo paese, e, attraverso i suoi personaggi, forse tutti suoi alter ego e in qualche modo tutti sfaccettature dei suoi sentimenti complessi, dà voce al desiderio di vendetta, ma anche all’inevitabile fedeltà ai propri principi morali, che impediscono a lui e a suoi personaggi di essere malvagi fino in fondo. Un semplice incidente è un inno alla parte migliore dell’umanità, quella che non riesce a derogare ai propri principi nemmeno di fronte all’orrore altrui, sebbene - per come l’ho interpretato io - il finale scelto da Panahi rappresenti un segnale di profondo pessimismo della possibilità che questa umanità possa sopravvivere in pace.
Voto: 4/5
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If I had legs I’d kick you Allora, benissimo la narrazione che vira verso il surreale e il grottesco, benissimo il tema della maternità trattato non in quella maniera zuccherosa cui siamo abituati ma come una specie di film dell’orrore, benissimo il portare a galla temi quali lo schiacciante senso di colpa delle madri, l’assenza dei padri e le fragilità psicologiche, però il film di Mary Bronstein mi ha fatto l’effetto di un pastiche un po’ indigeribile.
La storia è quella di Linda (Rose Byrne), una psicologa sull’orlo di una crisi di nervi che, con il marito distante per lavoro, deve occuparsi della figlia affetta da una misteriosa malattia che la costringe ad essere alimentata attraverso un tubo collegato a una macchina. Le cose si complicano e prendono una strada sempre più surreale quando nell'appartamento in cui Linda abita con la figlia si apre un buco nel soffitto, e le due devono trasferirsi a vivere in uno scadente albergo in attesa della sistemazione del danno.
Operazione ardita quella della Bronstein e senza dubbio originale, ma il fatto che dopo 5 minuti non sopportavo più la bambina (di cui non si vede il volto fino alla fine del film), dopo 20 non sopportavo la protagonista, e dopo mezz'ora non sopportavo più nessun personaggio non so se interpretarlo come segno della riuscita del film oppure come il suo fallimento.
Per me comunque resta un no.
Voto: 2,5/5
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Historias del Buen Valle L’ultimo film della mia maratona alla Festa del cinema di quest’anno è il documentario realizzato da José Luis Guerin e dedicato a un quartiere periferico di Barcellona, Vallbona (Buen Valle), dove ai primi insediamenti abusivi non è mai seguito un piano regolatore e, con l’arrivo di famiglie di immigrati, prima dall’interno del paese, poi dall’esterno, si è sviluppato in maniera disordinata ma vitale.
Nonostante le grandi opere (strade ad alto scorrimento e ferrovie) che nel corso del tempo hanno in parte distrutto il tessuto urbanistico e umano di questo quartiere, la comunità di Vallbona ha continuato a resistere e a mantenere una sua identità intergenerazionale e interrazziale, e a integrare persone e famiglie di diversa estrazione e provenienza.
Raccolta intorno al canale Rec, dove adulti e bambini si riuniscono per fare il bagno (nonostante il divieto di balneazione) e passare il tempo libero nelle giornate calde, questa comunità viene raccontata con garbo ed empatia da Guerin attraverso le storie di varie persone e famiglie, realizzando un affresco di grande umanità, ma anche denunciando più o meno indirettamente le conseguenze delle politiche di sviluppo delle grandi città.
Per alcuni versi, il film mi ha ricordato El 47 (quest’ultimo di fiction ma ispirato a una storia vera) , che parla di un altro quartiere di Barcellona, Torre Barò, che ha avuto in parte una storia simile e che si trova nella stessa area della città, separata da una strada ad alto scorrimento.
Mi piace questa attenzione del cinema spagnolo e catalano allo sviluppo delle città e in particolare delle periferie e al significato che esse hanno avuto nella storia del paese, e delle quali bisogna preservare valori e conquiste.
Voto: 3/5

Un semplice incidente l'ho visto con un collegamento del regista in diretta che presentava il film e veniva intervistato. È stato illuminante sentirlo parlare, lo avrei ascoltato per ore....Ha trasmesso una grande forza e il finale del film così ambiguo può far pensare....
RispondiEliminaIo però ho sentito speranza, sapevo che si era trasferito in Germania ma lui invece ha dichiarato che non potrebbe vivere da nessun'altra parte, ama il suo paese. Se mi vogliono rinchiudere lo facciano, quando esco girerò un altro film, queste le sue parole. Ha anche ammesso di essere privilegiato rispetto ad altri prigionieri che senza dubbio stavano peggio di lui. Credo non sia facile per niente ma nelle sue parole ho sentito speranza. Uno dei registi che ha vinto più premi in assoluto. Credo fermamente sia una bella persona e il coraggio che hanno non è così scontato. Così come la battaglia delle donne, ragazze che per poter cambiare una situazione mettono in gioco la loro vita.
Un film importante.
Anche per me è stato molto importante sentirlo parlare prima del film. Davvero una persona di una forza incredibile.
EliminaRiguardo al film, la cosa curiosa è che anche lì per lì confrontandomi con altre persone alcune avevano visto della speranza nella narrazione (come te), altre (come me) un pessimismo senza vere vie di uscita. Probabilmente sono vere entrambe le cose.
Certamente Anna, ottima considerazione 👍 buona giornata
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