Ed eccomi alla terza esperienza con Rome Guides, e dunque con il mitico Vincenzo Spina, dopo la mostra su Botero e quella sul Futurismo. Ormai so cosa mi aspetta con lui e dunque l’effetto sorpresa della prima volta è inevitabilmente attenuato, però Vincenzo – oltre ad essere preparatissimo e brillante – ha sempre in serbo qualche colpo da maestro, su cui ovviamente non mi permetto di fare spoiler!
Comunque, tornando alla mostra, Munch. Il grido interiore arriva a Roma dopo il successo a Milano, a Palazzo Reale, e dopo averla visitata personalmente confermo che si tratta di un appuntamento da non perdere.
Devo però sottolineare – cosa che anche Vincenzo ci aveva detto – che l’allestimento negli spazi piuttosto labirintici e con sale piccole di Palazzo Bonaparte, combinato con un’audioguida che costringe le persone a stare tempi lunghissimi davanti ai quadri fanno sì che la mostra sia molto affollata. Io ci sono andata alle 9,30 di domenica mattina e, dopo pochi minuti dall’ingresso, la situazione si presentava già piuttosto faticosa, soprattutto al primo piano, che è forse quello con la maggiore densità di opere.
Comunque grazie al percorso narrativo proposto da Vincenzo, riusciamo a cogliere il meglio della mostra dribblando alcuni punti in cui l’ingorgo è quasi inevitabile.
Vincenzo ci propone un percorso tra le opere di Munch strettamente legato alla sua biografia e al racconto che lo stesso artista ne ha fatto nel suo diario, una biografia che è stata caratterizzata da molti eventi emotivamente difficili e ha profondamente condizionato il suo modo di esprimersi artisticamente: la morte della madre e poi della sorella Sophie per la tubercolosi, poi la malattia psichica della sorella Laura, l’ossessione religiosa del padre, più avanti anche la morte del fratello Andreas, nonché le difficili esperienze di Edvard con le donne e la vicenda dello sparo con cui si concluse il suo rapporto con Tulla, la sua stessa malattia mentale e il periodo di internamento nell’ospedale psichiatrico.
Da un lato Edvard deve fare i conti con tutto questo dolore che è troppo grande per la sua psiche già fragile, dall’altro la sua sensibilità e la sua tendenza all’introspezione gli consentono di non concentrarsi solo su sé stesso e la propria condizione, ma di indagare sul significato – o sull’assenza di esso - della vita umana e di utilizzare la propria arte non solo come strumento di cura per sé stesso, ma anche come strumento a disposizione di tutti.
Nonostante la furia nazista che voleva distruggere le sue opere e nonostante l’approccio dello stesso artista che le sottoponeva alla cosiddetta “cura da cavallo”, cioè le lasciava alle intemperie e non voleva che fossero restaurate, per fortuna gran parte della sua produzione – fatta non solo di tele ma anche di opere grafiche (xilografie, litografie, acqueforti) – si è conservata fino a noi consentendoci di apprezzare la sua visionarietà e modernità, e anche di poter entrare in sintonia con la sua vita (sfortunata, ma anche con alcuni periodi di serenità) e con la vita di tutti coloro con cui il destino non è stato generoso.
L’uso dei colori, la ripetizione di alcuni soggetti e contesti, le scelte artistiche estreme ed originali rendono l’opera di Munch assolutamente riconoscibile e certamente indimenticabile.
Voto: 3,5/5
lunedì 14 aprile 2025
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