domenica 12 ottobre 2025

Una battaglia dopo l’altra = One battle after another

Con questo ultimo film, Una battaglia dopo l'altra, Paul Thomas Anderson torna ad attingere ai lavori di Thomas Pynchon, dopo averlo già fatto con Vizio di forma (Inherent vice) ispirato all'omonimo romanzo.

In questo caso è il soggetto ad arrivare dal romanzo Vineland di Pynchon, sebbene il regista americano introduca molte varianti e differenze nella storia.

Il richiamo al precedente film e alla matrice letteraria di entrambi è opportuno perché, secondo me c'è qualcosa che accomuna queste due pellicole, non tanto nella storia, quanto invece nel tono e in alcuni elementi stilistici.

Non v’è dubbio comunque che, con Una battaglia dopo l'altra, Anderson ribadisca di essere un regista eclettico, un vero artigiano della pellicola, che non ci sta a farsi ingabbiare in un genere, e che utilizza il suo mestiere per realizzare film anche molto diversi tra di loro. Lo aveva già dimostrato all'inizio della sua carriera quando era passato in sequenza da Boogie nights a Magnolia a Ubriaco d'amore per approdare a Il petroliere.

E proprio quando ci sembrava di poter inquadrare in maniera coerente la sua poetica (attenta alle manipolazioni nelle relazioni) e il suo stile (raffinato ed esteticamente impeccabile), Anderson ci ha sorpreso con un film incasinato e sopra le righe come Vizio di forma, e poi, dopo un nuovo lavoro molto paradigmatico del suo cinema – o di quello che pensavamo fosse il suo cinema - come Il filo nascosto ha virato verso una commedia buffa e un po' retro con Licorice pizza.

Ora, trovarsi di fronte a quello che almeno in apparenza è un vero e proprio action movie, con tanto di sparatorie e di inseguimenti in macchina, appare ancora più spiazzante, sebbene dentro questo action movie trovino posto sprazzi di molti altri generi in un pastiche riuscito e godibile.

Ma per Anderson la forma non è mai disgiunta dalla sostanza, e così, dentro questa confezione, Una battaglia dopo l’altra ci racconta la storia di un gruppo rivoluzionario armato di estrema sinistra, i French 75, e in particolare di Pat Calhoun (Leonardo Di Caprio) e della sua compagna Perfidia (Teyana Taylor). Quando Perfidia dà alla luce una bambina, Charlene, Pat vorrebbe una vita più tranquilla per dedicarsi alla famiglia, ma Perfidia non ci sta e abbandona entrambi per proseguire le sue azioni, fino alla sua cattura a opera dell’avversario di sempre, il colonnello Lockjaw (Sean Penn). Da qui un precipitare di eventi, che solo molti anni più avanti troveranno una spiegazione chiara e completa.

Intanto, il mondo intorno assomiglia sempre di più a una terrificante e tragica parodia – ma plausibile in un futuro non troppo lontano se le cose continueranno ad andare come stanno andando – della realtà nella quale viviamo, in cui il suprematismo bianco è sempre più estremo, sia nel suo essere violento che nel suo essere ridicolo, e pure i presunti rivoluzionari in fondo non sono da meno.

Il film mi ha completamente trascinata nel suo flusso per la sua intera durata (oltre due ore e quaranta), e, durante la visione, molte emozioni diverse si sono alternate: non sono mancati momenti comici, altri drammatici, altri adrenalinici. A differenza però di chi è uscito dal cinema con un seme di speranza, io ne sono uscita con un senso di disperazione, perché l’umanità che lotta mi è sembrata alla fine ben poca cosa - e spesso con enormi contraddizioni interne - rispetto a un sistema di potere sempre più autoritario, violento ed escludente che si va rafforzando, nonostante tutto.

Mi chiedo come se ne esca. Forse solo aspettando che gli eventi facciano il giro completo, ma non so a quale prezzo.

Voto : 3,5/5


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