Da molti anni ormai seguo con affetto Ascanio Celestini e quando vedo un suo spettacolo in programmazione a Roma non perdo mai l'occasione di andare ad ascoltarlo. Ad aprile di quest'anno ero rimasta un po' delusa dal suo spettacolo Parassiti. Un diario nei giorni del Covid-19, ma in altre circostanze avevo apprezzato moltissimo i suoi racconti (vedi, tra gli ultimi, Museo Pasolini).
Questa volta Celestini torna al pubblico con la sua formula ormai ampiamente rodata - e forse a questo punto un pochino ripetitiva - che vede la sua narrazione inserita all'interno di una scenografia minimale e accompagnata dalla fisarmonica di Gianluca Casadei, che gli fa anche da interlocutore (di fatto muto, ma che mima quanto viene pronunciato da una voce registrata).
L'oggetto dello spettacolo Rumba è innanzitutto la figura di Francesco d'Assisi, sulla cui vita il narratore vuole mettere in piedi uno spettacolo in un grande parcheggio. La storia di San Francesco è però inframmezzata dalle storie di una serie di persone che ruotano intorno a questo parcheggio: Giobbe, il magazziniere analfabeta, l'immigrato Joseph che è arrivato attraverso il deserto e il mare e che in Italia ha finito per diventare un barbone, lo zingaro che gironzola intorno al bar, tutte figure ai margini della nostra società, che in qualche modo sono idealmente collegate al giovane che lasciò tutto per vivere povero tra i poveri.
Lo spettacolo parte molto bene, e soprattutto nelle parti in cui si focalizza sulla vita di Francesco funziona, mentre invece quando la narrazione si sposta sulle vite delle persone che ruotano intorno al parcheggio del supermercato l'intensità scema per lasciare il posto a un approccio un po' troppo buonista e a contenuti già sentiti.
Uscendo dall'Auditorium rifletto sul fatto che Ascanio Celestini riesce a dare il meglio di sé quando ci racconta eventi o personaggi storici: in questo ambito il suo teatro di parola arriva potente e colpisce nel segno, perché Celestini è in grado di rendere interessanti e umanamente coinvolgenti le storie che racconta.
Quando invece i suoi testi si spostano sulla finzione e raccontano storie di persone, ho la sensazione che la retorica e il luogo comune prendano il sopravvento, cosicché anche il suo stile narrativo ne risente in negativo.
Capisco che dopo tanti anni di teatro ci sia anche il tema di mantenere viva la creatività e di continuare a essere originali, però dal mio punto di vista è indubbio che il Celestini divulgatore di eventi storici, piccoli e grandi, è capace di catturare qualunque auditorium e di sorprendere anche quando racconta una storia piuttosto nota, come quella di San Francesco, mentre il Celestini portavoce di personaggi da lui stesso creati (sebbene evidentemente ispirati alla realtà) risulti più piatto, ripetitivo e meno convincente.
Personalmente consiglierei a Celestini di tornare a indagare nella storia per portare al pubblico il suo racconto di vicende importanti ma più o meno dimenticate. Io lo andrei ad ascoltare più volentieri.
Voto: 3/5
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