Approfitto di una domenica pomeriggio in cui sono già in giro per altri motivi per andare a vedere la mostra di Don McCullin al Palazzo delle esposizioni, e con l'occasione vedo anche l'altra mostra in corso, quella dedicata al fotografo ucraino Boris Mikhailov.
Personalmente non conoscevo McCullin: scopro solo grazie alla mostra che il fotografo ha ottantotto anni e vive con la moglie nella campagna del Sormerset, e che nella sua lunga carriera è stato uno dei grandi fotografi documentaristi e di guerra. Dagli esordi e nel corso degli anni ha raccontato - con sguardo attento e soprattutto empatico - sia la realtà a lui più vicina (il quartiere nel quale viveva quando era ragazzo e altri luoghi della Gran Bretagna che hanno attraversato fasi di impoverimento, come ad esempio l'East End di Londra), sia mondi lontani e meno lontani, soprattutto in occasione di guerre (il Vietnam, la Cambogia, il Biafra, l'Irlanda del Nord e molti altri). Negli ultimi anni Mc Cullin ha deciso di ritirarsi nel Somerset dedicandosi a progetti più elegiaci, come ad esempio le foto della campagna inglese e quelle dei resti archeologici sul confine meridionale dell'ex impero romano, nelle quali però il fotografo non riesce a voltare completamente pagina rispetto alle brutture della guerra e mantiene uno sguardo in qualche modo tragico e critico.
Le oltre 250 fotografie in mostra (tutte in bianco e nero e quasi tutte stampate con le gelatine ai sali d'argento) rappresentano una straordinaria retrospettiva della sua carriera e, oltre a farci apprezzare le sue notevoli qualità tecniche, ci aiutano a entrare nella mente di un fotografo di guerra, con tutti i traumi e gli interrogativi etici che caratterizzano questo ruolo.
Attraverso le parole dello stesso McCullin - che a più riprese arricchiscono la visione delle foto - seguiamo i sentimenti contrastanti dello stesso fotografo, il quale ci dice di aver sempre ricercato l'empatia con i soggetti delle sue foto e di aver sempre scattato le foto per restituire dignità e voce a persone che spesso non ne hanno. È però evidente che, nonostante le buone intenzioni, McCullin non è uscito indenne da una carriera di fotografo di guerra, e credo non a caso abbia cercato evasione nella fotografia di paesaggio, senza però riuscire davvero a superare i traumi interiori.
Mostra bellissima, in parte rovinata - se posso dire la mia opinione - da luci non perfette che non consentono di guardare le foto nel migliore dei modi possibili.
Per quanto riguarda la mostra su Boris Mikhailov, si tratta di una sorpresa totale. Mikhailov - che ovviamente non conoscevo minimamente - è un fotografo autodidatta, ma anche un artista ucraino, che ha documentato, in modo del tutto personale e originale, i cambiamenti intervenuti nel suo paese con la fine dell'Unione Sovietica. Nel caso di Mikhailov non siamo di fronte a fotografie che puntano alla qualità tecnica ed estetica, bensì il mezzo fotografico è utilizzato in modo ironico o critico, o entrambi, a seconda dei casi. Ne vengono fuori progetti fotografici certamente anomali, in cui le foto sono spesso modificate mediante filtri, ovvero colorate a posteriori, anche a mano, e talvolta si tratta di progetti realizzati in modi forse eticamente discutibili. Del resto, Mikhailov - cresciuto in un paese nel quale la propaganda era onnipresente e la libertà di espressione praticamente inesistente - ha escogitato nel tempo modi originali per veicolare, attraverso i suoi progetti, messaggi che probabilmente sarebbero stati censurati, e più avanti ha continuato ad affinare questo suo linguaggio fino a farne una propria cifra distintiva.
Interessante scoperta, anche se sul piano fotografico non è esattamente quello che mi appassiona.
Voto: 3,5/5
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