giovedì 22 dicembre 2022

Rumore bianco

Dopo l’esperienza quasi teatrale del film Storia di un matrimonio, Noah Baumbach per la prima volta si cimenta con una sceneggiatura non originale e adatta per il grande schermo il romanzo di Don DeLillo Rumore bianco, e per affrontare questa impresa si circonda di persone fidate, sua moglie Greta Gerwig e Adam Driver, già protagonista del film precedente.

La scelta del regista è originale, come del resto accade spesso per il suo cinema. Si tratta infatti di un romanzo piuttosto datato – risale al 1985 – e racconta del consumismo dilagante, incarnato simbolicamente dai grandi supermercati, e dell’affermarsi del “rumore bianco”, ossia quel sottofondo di suoni e immagini (provenienti primariamente dagli onnipresenti schermi televisivi) che risultano talmente pervasivi da non essere più percepiti come interferenti dalla mente umana.

Nello specifico, al centro del racconto c’è una famiglia allargata formata dal capofamiglia, Jack Gladney, professore universitario esperto di Hitler (Adam Driver), da sua moglie Babette, sempre con permanente perfetta (Greta Gerwig) – entrambi al quarto matrimonio – e quattro figli, tre dei matrimoni precedenti dell’uno o dell’altra e un figlio della coppia.

Il film si apre con una lezione universitaria di Murray (Don Cheadle), un collega di Jack che si occupa di figure mitiche ma apre la sua lezione parlando della componente divertente e di intrattenimento che è racchiusa nelle scene di incidenti automobilistici e disastri vari nel cinema americano. Questa intro ci dà già la cifra di quello che sarà il tono del racconto, in cui la componente grottesca e surreale risulta particolarmente presente.

Del resto l’evento che dà un’accelerazione al plot è proprio un incidente, quello tra un camion e un treno, che a seguito dell'esplosione della cisterna del primo produce una nube tossica pericolosa per gli esseri umani. Per questo la famiglia Gladney è costretta ad evacuare e ad affrontare giorni e notti fuori casa, mentre la paura della morte supera la dimensione individuale per diventare questione collettiva e sociale, fino a tornare prepotentemente a visitare i Gladneys con una serie di conseguenze imprevedibili.

Il film è costruito come un pastiche di generi: dalla commedia al thriller, dal disaster movie al grottesco, dal drammatico al romantico. Al centro di tutto questo c'è - costante - la paura della morte, condizione esistenziale dell'essere umano, che trova nella spinta consumistica una forma di esorcizzazione.

Gli attori sono bravi; si ride a più riprese, anche solo per scacciare un fondo di angoscia costante; a tratti il cervellotico e l'intellettualistico prendono il sopravvento; e la struttura narrativa - forse anche per la giustapposizione e la commistione dei generi - si fa un po' episodica.

Sicuramente non il film migliore di Baumbach, ma sempre apprezzabile.

Voto: 3/5




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