Sulla base di un incidentale commento di Matteo Bordone nel suo podcast (poi in realtà ho sentito anche la puntata in cui ne tesse le lodi) e anche basandomi sull’apprezzamento di precedenti suoi lavori come Il labirinto del fauno e La forma dell’acqua ho deciso di andare a vedere al cinema l’anteprima in lingua originale di Pinocchio, il film di animazione che il regista messicano ha deciso di dedicare all’immortale personaggio del libro di Carlo Collodi.
Si tratta di un film realizzato in stop-motion, con fondali spesso disegnati o digitali. Da un punto di vista della confezione è notevole, e la lettura che Del Toro dà di Pinocchio risulta fedele allo spirito del libro pur essendo una libera interpretazione e una rilettura della storia.
Il Pinocchio di Del Toro è la storia di una perdita e del dolore talmente inconsolabile di un padre da dargli la bizzarra idea di realizzare un surrogato in legno del figlio morto. Con lo zampino di forze magiche e ultraterrene, questo burattino riceve la vita, ma fin da subito e con tutta evidenza Pinocchio non è in nulla simile al figlio perduto: è indisciplinato, dispettoso, disobbediente e bugiardo, cosicché Geppetto rifiuta la sua stessa creatura. Le numerose vicissitudini di Pinocchio e la necessità di ritrovare Geppetto - scomparso misteriosamente - faranno maturare il burattino e faranno anche capire a Geppetto che non esistono copie di chi abbiamo perso, ma solo nuove “persone” da amare e che solo attraverso l’amore si può superare il dolore.
Nella reinterpretazione di Del Toro la storia di Geppetto e Pinocchio – narrata dal grillo parlante, aspirante scrittore - è ambientata in un non meglio identificato paesino durante gli anni dell’ascesa del fascismo, cosicché la loro vicenda diventa anche un monito antifascista e antimilitarista. E persino Lucignolo – nel libro compagno di marachelle di Pinocchio – diventa una debole vittima di un padre gerarca ma infine si riscatta rivendicando la propria autonomia.
Il risultato complessivo è alquanto buffo da molti punti di vista, e in modo particolare dal punto di vista linguistico: i personaggi parlano in inglese nella gran parte dei casi, salvo che qualche comprimario di tanto in tanto usa una frase o una parola in italiano, ovvero parla un inglese con un forte accento italiano. Non mancano – come nella più consolidata tradizione Disney – i pezzi cantati che fanno del film un vero e proprio musical d’animazione, non molto diverso da questo punto di vista da altri prodotti commerciali.
Ora, il punto forse sta proprio qui: sebbene il lavoro attinga al grande universo immaginifico del regista, da un autore come lui io mi sarei aspettata qualcosa di più, e dunque la sensazione finale è quella di un prodotto realizzato con grandissima maestria ma per quanto mi riguarda senza particolari guizzi. Poi forse - visto le lodi sperticate che ne leggo - mi è sfuggito qualcosa.
Voto: 3/5
venerdì 16 dicembre 2022
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