mercoledì 7 dicembre 2022

Il crogiuolo / di Arthur Miller; regia di Filippo Dini. Teatro Quirino, 26 novembre 2022

Con il teatro di Filippo Dini non ho un buon rapporto: la prima volta ero andata a vederlo attirata dalla presenza della Scommegna in Misery, poi ero stata incuriosita dalla messa in scena insieme a Valerio Binasco dell'opera The Spank di Hanif Kureishi. La prima volta già avevo avuto la sensazione di qualcosa di stonato ma non ci avevo fatto caso, la seconda volta sono uscita dal teatro decisamente delusa.

Quando dunque ho visto Il crogiuolo in programma al Quirino, avevo deciso di non andare a vederlo; poi il resoconto entusiasta della mia amica C. mi aveva convinto non solo a prendere i biglietti ma anche a trascinarmi dietro diverse amiche.

Ebbene - lo dico subito per evitare qualunque ambiguità - dopo questo spettacolo confermo che ho una specie di idiosincrasia nei confronti del modo di recitare di Filippo Dini, che in realtà si estende poi anche ad alcune scelte registiche. Insomma percepisco la mano di Dini su tutto lo spettacolo, e purtroppo c'è qualcosa in questa mano che non mi convince.

Ciò premesso, Il crogiuolo è uno spettacolo con tutti i crismi: un testo importante (quello di Miller in cui racconta della caccia alle streghe di Salem per denunciare alcuni dei meccanismi che l'America maccartista stava vivendo negli anni in cui scriveva), una scenografia minimale ma molto studiata, costumi molto belli, la musica suonata e cantata dal vivo, un grosso cast di attori, alcuni dei quali recitano due parti, una parziale attualizzazione della narrazione. Insomma non c'è dubbio sul fatto che ci siano tutti gli ingredienti per un grande spettacolo, ed effettivamente quello di Dini è uno spettacolo ambizioso come ormai a teatro se ne vedono pochi, e il pubblico lo premia mostrando un convinto apprezzamento.

Per quanto mi riguarda ho certamente apprezzato la scelta di riportare sul palco l'opera di Miller che personalmente non conoscevo e che - anche grazie alla sostanziale fedeltà al testo - mi è stata restituita nel suo spirito e senso originario (che poi a mio parere mostra qua e là qualche segnale di invecchiamento).

Mi è piaciuta anche molto la messa in scena e anche la capacità di immaginare in grande: penso alla scena del litigio e della "scalata" alla bandiera americana che visivamente ricordata la foto di Rosenthal nella quale i soldati americani issano la bandiera a Iwo Jima; o anche alla scena iniziale della danza tribale, nonché a diversi altri passaggi.

Ho amato molto la recitazione di Manuela Mandracchia, soprattutto nel ruolo di Elizabeth Proctor (interpreta anche il personaggio di Rebecca Nurse), ruolo nel quale riesce ad essere credibile, misurata ed empatica al contempo. Tanto più mi è saltata all'occhio la differenza con la recitazione altrui, che ho trovato molto urlata e sopra le righe: ora, è vero che stiamo parlando di una storia di isteria collettiva e che apprezzabilmente gli attori recitavano senza microfono, ma sinceramente avrei preferito una maggiore varietà di registri e toni. Così come non ho amato tanto la coloritura ironica che a diverse riprese viene introdotta nel dramma da vari personaggi, primo fra tutti lo stesso Proctor interpretato da Dini, ma anche altri personaggi, talvolta trasformati in macchiette. E questa tendenza a una specie di "dramedy" comincio a pensare che sia una caratteristica di Dini e delle sue opere.

Ho trovato infine un po' scontati e banali gli inserti musicali, che mi hanno dato l'impressione di essere lì più per ingraziarsi il pubblico che per aggiungere veramente qualcosa.

Tutto ciò detto, lo spettacolo - che dura 3 ore piene - riesce a tenere desti per tutta la sua durata, il che evidentemente vuol dire che - nonostante le mie perplessità - funziona e ottiene il risultato atteso, come dimostrano alla fine gli applausi convinti del pubblico, tra cui molti volti noti (Nanni Moretti, Rocco Papaleo e altri).

Alla fine dunque forse sono io che ormai ho verso Dini un po' lo stesso atteggiamento che ho verso Popolizio, ossia ci vedo l'effetto Jack Nicholson che ha smesso di essere un grande attore quando ha cominciato a gigioneggiare e a fare Jack Nicholson, risultando infine stucchevole ma non per questo meno amato dal pubblico.

Voto: 3/5

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