L'anno scorso lo svolgimento della festa del cinema di Roma era coinciso con un periodo di relativa calma nell'andamento della pandemia, ma con il passare dei giorni la situazione dei contagi era andata peggiorando al punto che la conclusione della kermesse era stata quasi contemporanea all'inizio di un nuovo lockdown.
Quest'anno per fortuna la situazione appare complessivamente più tranquilla e, sebbene sulla carta il programma sembra meno interessante che in passato, alla fine il festival convince e conquista un po' tutti sia sul piano dei contenuti che su quello dell'atmosfera di "rinascita" che si respira.
Io perdo purtroppo il primo weekend di programmazione, cosicché i nove film che alla fine riesco a vedere sono tutti concentrati tra il lunedì e il sabato, in un'abbuffata da cui esco esausta ma felice.
Nei film che riesco a vedere è molto presente il tema dei bambini e dei ragazzi nelle sue diverse accezioni e sfumature: il coming of age, il rapporto con il mondo adulto, le paure e l'idea di futuro. Non dimentichiamo del resto che ormai da tanti anni il festival del cinema di Roma va a braccetto con la rassegna Alice nella città, che proprio sui giovani ha la sua focalizzazione e che negli anni ha saputo scovare e valorizzare moltissimi film a essi dedicati.
(Per la seconda e la terza parte delle recensioni si veda qui e qui)
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Zhang Yimou è un regista cinese che in Italia ricordiamo soprattutto per film come Lanterne rosse (1991) e Hero (2002). Con questo suo ultimo film, One second, il regista torna a farsi notare a livello internazionale, anche per la polemica che lo ha riguardato in patria a seguito delle critiche del governo cinese.
Il perché di queste critiche è presto detto: One second è ambientato nel periodo della rivoluzione culturale cinese e all'interno di un contesto in cui la propaganda la fa da padrona, le delazioni ai "poliziotti" di regime sono all'ordine del giorno e i lavori forzati sono una pratica comune.
Però il cuore del film non è questo, e - come è stato già detto da altri - One second è una specie di Nuovo cinema paradiso cinese, un omaggio commosso alla forza evocativa del cinema e alla sua capacità di creare comunità.
Siamo nel deserto del Gansu, tra dune dorate a perdita d'occhio. Qui si aggira il protagonista del film, Zhang (Zhang Yi), il quale è fuggito a un campo di lavori forzati all'inseguimento di una pizza, ovvero una pellicola cinematografica che contiene il film Heroic sons and daughters, ma soprattutto un cinegiornale nel quale per "un secondo" compare la figlia che non vede ormai da moltissimi anni.
Nell'avvicinarsi al villaggio dove Mr Movie (Fan Wei), organizzerà la proiezione, Zhang assiste al furto della pellicola da parte della piccola Liu (Liu Haocun), un'orfana che si prende cura del fratello più piccolo e che con la pellicola vuole realizzare una copia della lampada che il fratello ha involontariamente rotto.
Inizia qui una serie di scene rocambolesche e di gag che a tratti fanno pensare al cinema muto di inizio novecento e ad alcune interpretazioni di Buster Keaton e Charlie Chaplin. Alla fine la pellicola arriverà nelle mani di Mr Movie, che dovrà coinvolgere però l'intera comunità in una delicata operazione di lavaggio e ripulitura del nastro per consentirne la proiezione, attesa da tutti con trepidazione e partecipazione. Sarà sempre lo stesso Mr Movie a offrire infine a Zhang la possibilità di rivedere in loop sempre lo stesso spezzone riempiendo gli occhi dell'uomo dell'immagine di questa figlia che non vede da anni, anche a rischio di essere catturato.
Zhang e Liu troveranno entrambi quello che cercano, e forse anche qualcosa di più, ossia la comprensione reciproca dei sentimenti, nonché la solidarietà sull'importanza della memoria che anche un frammento di pellicola che dura solo un secondo può portare con sé.
Un film delicato, divertente e commovente al tempo stesso, con un sapore di cinema del passato che fa bene al cuore, soprattutto in un momento come questo in cui lo spostamento verso la dimensione privata della visione dei film sembra mettere in discussione e in minoranza l'importanza e la straordinarietà del rito collettivo.
Voto: 3,5/5
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Libertad è il film di Clara Roquet che racconta l'estate della quindicenne Nora, magnificamente interpretata dalla bravissima Maria Morera Colomer. Siamo pienamente nel topos (letterario e non solo) dell'estate del coming of age, quella in cui gli eventi fanno sì che un/una protagonista ancora legato/a al mondo dell'infanzia faccia il salto verso il mondo degli adulti.
Come all'inizio di tutte le estati, Nora si trasferisce insieme alla madre e alla sorella nella casa del mare, dove vive la nonna, malata di Alzheimer, insieme alla badante Rosalia. Per Nora si tratta dell'ennesima estate con giornate tutte uguali a loro stesse, tra piscina e gite in barca, estati in cui non succede nulla di memorabile, fino a quando un evento non modifica l'andamento delle cose. L'evento è l'arrivo di Libertad (Nicolle García), la figlia di Rosalia che viveva in Colombia. Libertad, pur essendo sostanzialmente coetanea di Nora, è molto più disinibita e ribelle. La ragazza si oppone alle imposizioni della madre e in generale alle regole, e nonostante la diffidenza inizia nei confronti di Nora, le due diventano presto amiche e complici in alcune scorribande in paese: Nora fa alcune delle sue prime esperienze di autonomia, e a poco a poco anche il suo sguardo sulla sua famiglia e sul contesto circostante cambia.
Ben presto Nora scopre che il rapporto tra i suoi genitori è in crisi, e che la madre vive con difficoltà il degrado cognitivo della nonna, da cui non si è mai pienamente sentita amata e accolta. Improvvisamente il mondo degli adulti, fin lì confuso e indistinto, si mostra in tutta la sua complessità agli occhi di Nora, e anche l'amicizia estiva con Libertad dovrà fare i conti con tutte le sovrastrutture che lo sguardo degli adulti porta con sé, ad esempio la differenza di classe. La stessa Libertad ne è molto più consapevole di Nora, e pur volendole sinceramente bene sa che la loro amicizia è destinata a durare il tempo di un'estate.
Quella del film di Clara Roquet non è una storia del tutto originale, ma certamente la giovane interprete aggiunge spessore alla sceneggiatura, così come è apprezzabile il registro che oscilla continuamente tra il leggero e il drammatico. Un film che fa riflettere, senza dover necessariamente pigiare sul tasto del melodramma a tutti i costi.
Voto: 3,5/5
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Lamb (ATTENZIONE: SPOILER!)
Quando ho guardato il programma di Alice nella città, ho scelto Lamb quasi senza nemmeno leggere la trama. L'idea di un film ambientato in terra islandese ha infatti rappresentato per me un'attrattiva capace di andare anche al di là dei contenuti. Poi leggendo la trama e qualche commento qua e là mi sono resa conto di aver selezionato un film quanto meno originale.
In sala c'è il regista, Valdimar Jóhannsson, il quale sostanzialmente ci dice che l'obiettivo era quello di realizzare qualcosa di completamente diverso da quanto già visto fin qui al cinema, nonché quello di affidare allo spettatore il compito di dare un significato, essendo il film aperto a molte interpretazioni.
La storia raccontata è quella di Ingvar (Hilmir Snær Guðnason) e Maria (Noomi Rapace), una coppia di agricoltori e allevatori che vivono in una fattoria isolata tra le montagne islandesi, dove il clima è estremo e la nebbia spesso inghiotte tutto il paesaggio circostante. La vita della coppia procede apparentemente tranquilla, sebbene tra i due si percepisce una freddezza e distanza, risultato del dolore ancora non elaborato per la morte della loro bambina.
Un giorno, una delle loro pecore partorisce un essere molto particolare, metà agnello e metà bambina. I due decidono di tenerla e crescerla come fosse la loro figlia, e vivono questa situazione come un dono e l'inizio di una nuova felicità, che nel tempo però dimostrerà di avere un prezzo particolarmente salato.
In Lamb ci sono tanti temi che si intrecciano: una natura sovrabbondante e incombente, rispetto alla quale l'essere umano appare minuscolo e impotente; la condizione di isolamento e solitudine di questa coppia che da un lato ne amplifica il dolore e dall'altro consente loro di percorrere strade originali al di fuori del giudizio sociale; la hybris umana nello sfidare la natura appropriandosi di ciò che non gli appartiene e le conseguenze che ne derivano. Certamente riecheggiano in questa storia anche le narrazioni della mitologia del Nord Europa che è popolata di esseri ibridi e più in generale da un'atmosfera misteriosa e un po' inquietante.
Un film che forse nella normale programmazione annuale non avrei scelto di vedere, ma che nel contesto della festa del cinema sono contenta di aver visto.
Voto: 3/5
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