Dopo aver visto qualche mese fa il documentario Antropocene - L'epoca umana, completo il percorso immaginato dai creatori Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier andando a visitare la mostra omonima attualmente in corso al MAST di Bologna (prorogata fino al 5 gennaio).
Il progetto di Burtynsky, Baichwal e de Pencier punta infatti a integrare fonti e linguaggi di comunicazione per offrire un'esperienza a 360° sulle tematiche da loro sviluppate. A partire dai dati della ricerca scientifica e da un accurato percorso di indagine, Anthropocene offre la possibilità di compiere un viaggio multimediale nel nostro pianeta per vedere da vicino i cambiamenti che l'essere umano vi ha determinato, trasformandone in modo significativo e duraturo il volto. La mostra si compone dunque di fotografie, brevi video, grandi murales fotografici con cui interagire per mezzo di un tablet o di un'app in modo da usufruire di contenuti video aggiuntivi, cartoline che - sempre mediante un'app - conducono nel mondo della realtà aumentata. E ovviamente il film è il naturale complemento di questo percorso.
Nel caso specifico, io ho iniziato dal film per poi approdare al contesto nel quale esso è inserito, ossia la mostra attualmente visitabile al MAST.
La mostra si articola in 4 sezioni, corrispondenti ad altrettante aree degli spazi espositivi: Anthropocene #1 e #2 presentano le fotografie, i murales, i video e le esperienze immersive che raccontano allo spettatore come l'intervento umano sta plasmando la terra e lo sorprendono mostrandogli "paesaggi" che sono a loro modo bellissimi ma che in realtà sono il risultato di un intervento pesante e gravido di conseguenze messo in atto dall'uomo; Anthropocene #4 si riferisce alla proiezione del film in auditorium, e Anthropocene #3, dislocato nella gallery del piano terra, sposta l'attenzione dallo stato del pianeta a quello che l'uomo può fare per invertire la rotta di alcuni processi che stanno mettendo a rischio la stessa sopravvivenza della specie. In quest'ultima sezione l'interattività della mostra cambia direzione, in quanto l'allestimento punta non tanto a trasmettere informazioni quanto a rendere i visitatori consapevoli del loro ruolo in questo sistema.
Durante la visita insieme a S., forse ancora di più che durante la visione del film, ci è risultato chiaro sia l'approccio dei creatori del progetto, che non punta allo shock o alla pura denuncia, ma alla rappresentazione di una realtà che è sempre molto più sfaccettata e complessa di quello che immaginiamo e che ha molteplici chiavi di lettura, sia il fil rouge che tiene insieme tutte le sue parti, ossia un modello economico, il capitalismo, che ormai si è trasformato quasi in pensiero unico, e che ha nel suo stesso DNA un orientamento alla massimizzazione del profitto, anche in spregio alla sostenibilità e alle valutazioni sul lungo periodo. A questo si aggiunga la nota incapacità - o quanto meno scarsa capacità - dell'essere umano di prevedere le conseguenze del suo agire e di mettere in relazione i suoi interventi con quella fitta serie di fattori correlati dalla cui interazione possono scaturire effetti imprevisti e non sempre positivi.
Come già affermavo a conclusione della visione del film, una estinzione del genere umano non è poi una così grande tragedia; il fatto è che per giungere a essa o a forme di parziale estinzione sono sicuramente grandi le sofferenze attraverso cui il genere umano rischia di dover passare.
Voto: 3,5/5
lunedì 25 novembre 2019
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