Il nuovo spettacolo di Ascanio Celestini, presentato al Teatro Vittoria nell'ambito del Romaeuropa Festival, riprende direttamente, anche nel titolo, un volume pubblicato da Celestini nel 2019 con Einaudi.
Si tratta sostanzialmente di una raccolta di barzellette provenienti da tutto il mondo che l'autore ha raccolto e in parte reinventato, collocandole all'interno di una cornice narrativa che sceglie i treni e le stazioni come ambientazioni.
Il protagonista sul palco è un giovane ferroviere che - sotto la guida di un ferroviere più anziano e di maggiore esperienza - a poco a poco scopre il mondo dei treni, delle stazioni, dei viaggiatori, dei non viaggiatori e degli stessi ferrovieri. Durante questo viaggio raccoglie nel suo brogliaccio barzellette e storie, che si mescolano in modo inestricabile, così come si intrecciano insieme riso, commozione e indignazione, mentre in sottofondo il "geometra" (come lo chiama Celestini) accompagna questo viaggio con le sue musiche dal vivo suonate alle tastiere e alla fisarmonica.
Su un palco tendenzialmente buio, illuminato solo da lucine e candele, Celestini e il musicista condividono lo spazio occupato da pochi oggetti, tra cui al centro una panca, simbolo universale dell'attesa e dunque perfettamente in linea con l'impianto narrativo prescelto.
Celestini si conferma uno straordinario affabulatore, un contastorie, che con il suo stile che oscilla tra la ripetizione ossessiva e l'ellissi è in grado di mantenere viva l'attenzione dello spettatore e di trascinare in un mondo raccontato che a tratti acquista una sua realtà visiva, quasi tangibile.
Rispetto ad altri spettacoli (l'ultimo che ho visto l'anno scorso era Pueblo), il tono di Barzellette è più leggero e meno impegnato, finalizzato primariamente a far ridere e sorridere, senza quel carico di angoscia e di senso di colpa che talvolta la narrazione di Celestini porta con sé. Non che qui l'autore rinunci a inframmezzare le sue barzellette con altre storie che - mediante l'aggancio narrativo al mondo dei treni e delle ferrovie - irrompono prepotentemente nella narrazione, arrivando direttamente dalla realtà storica. Si va dalla storia del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli ai treni dell'orrore che arrivavano ad Auschwitz, dalla bomba esplosa alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 alle tante storie di chi nelle stazioni ci vive.
Pur non riuscendo a rinunciare all'impegno, Celestini sperimenta qui il linguaggio dissacrante e scorretto delle barzellette, che - com'è noto - hanno protagonisti e temi privilegiati, e spesso non si sottraggono alla trivialità. Pur essendo alcune delle barzellette molto divertenti, nonché raccontate con grande perizia, devo ammettere che io non sono una patita del genere e solo in pochissimi casi mi fanno davvero ridere. Intorno a me c'è chi si sganascia dalle risate al racconto di barzellette su preti e suore a sfondo marcatamente sessuale, a me sinceramente lasciano tendenzialmente indifferente, oltre al fatto che non riesco a non notare la componente fortemente maschilista che le caratterizza e che mai mi era risultata così chiara come in questo caso, forse perché ne ascolto numerose una dietro l'altra.
Insomma, dal mio punto di vista non certamente uno degli spettacoli migliori di Celestini; perché capisco le critiche di chi dice che i suoi spettacoli sono troppo deprimenti e pessimistici, ma la risposta probabilmente non è una svolta così marcata verso la risata a tutti i costi. Probabilmente questo spettacolo è frutto della ricerca di un linguaggio alternativo con cui parlare anche di contenuti importanti a un pubblico sempre meno impegnato e sempre più alla ricerca di leggerezza. Io però preferivo il Celestini più "deprimente".
Voto: 3/5
martedì 19 novembre 2019
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