Io e F. avevamo avuto modo di apprezzare il teatro di Liv Ferracchiati l'anno scorso grazie alla partecipazione agli spettacoli della Trilogia dell'identità: Peter Pan guarda sotto le gonne, Stabat Mater e Un eschimese in Amazzonia.
Così quest'anno non ci facciamo sfuggire l'occasione di assistere al suo ultimo lavoro, Commedia con schianto, in programmazione al Teatro 1 del Mattatoio di Testaccio nell'ambito del Romaeuropa Festival.
Deve essere una serata in cui il mondo del teatro che gravita su Roma si è dato appuntamento; oltre a facce molto note, come quella del nostro amato Arturo Cirillo, nel pubblico che prende posto in sala riconosciamo altri volti che sappiamo di aver visto più volte a teatro anche se non ricordiamo i nomi.
È evidente che Liv Ferracchiati è attesa alla conferma del suo talento dopo il successo e l'ottimo riscontro della Trilogia. E in fondo proprio di questo parla Commedia con schianto, ossia del difficile momento di un giovane autore teatrale che deve fare i conti non solo con la difficoltà di trovare ispirazione, ma anche con le assurde dinamiche che caratterizzano il mondo del teatro nel suo complesso.
Lo spettacolo è strutturato secondo l'impianto della commedia attica classica (per intendersi, quella ad esempio di Aristofane, non a caso qui più volte richiamato), ma - come ci viene annunciato fin dal titolo e poi dalle brevi scritte luminose che compaiono all'inizio dello spettacolo - si tratta di una commedia che finisce in tragedia.
In Commedia con schianto c'è un autore che appartiene alla fascia d'età compresa tra 30 e 35 anni (il testo ha molti riferimenti anche al dato generazionale) e che - mentre si rimpinza di pere - sta cercando di mettere in scena una commedia di stampo forse esageratamente autobiografico, al punto tale che non riesce ad andare avanti dal momento in cui la vita urge e surclassa la necessità di scrivere.
In realtà tutto questo viene raccontato dal piccolo gruppo di attori che è stato coinvolto per mettere in scena la commedia e ora, come il coro della commedia classica nella parabasi, cerca di dare un senso all'esperienza vissuta e di comprendere cosa si agitava nell'animo dell'autore.
Come già nei lavori precedenti, Liv Ferracchiati ama un palcoscenico minimale, quasi spoglio (qui ci sono delle sedie, un frigorifero e una palla stroboscopica a forma di pera), nel quale sono i personaggi e la loro "coreografia" a caratterizzare le varie scene e momenti.
Ferracchiati sceglie un registro prevalentemente ironico, e soprattutto autoironico, a tratti sconfina addirittura nel nonsense, e questi registri sono il modo con cui vengono date in pasto al pubblico le proprie idiosincrasie nonché le dinamiche del teatro contemporaneo e di tutto quello che gli gira intorno. Sotto la superficie della risata che attraversa a più riprese gli spettatori, c'è in realtà una riflessione più profonda sulla crisi di identità del teatro contemporaneo, pressato dalla critica perché sia sempre originale e innovativo, e sulla difficoltà degli autori giovani (ma in fondo non giovanissimi) di trovare in esso un effettivo spazio di sperimentazione, senza che questo riservi a ogni angolo la delusione delle aspettative di qualcuno. Non resta dunque che volgersi indietro, al teatro classico, e ai grandi maestri, perché forse solo loro possono veramente indicare la direzione.
Il brillante e divertente testo di Liv Ferracchiati è molto ben interpretato dal gruppo di attori sul palco (Caroline Baglioni, Michele Balducci, Elisa Gabrielli, Silvio Impegnoso, Ludovico Röhl, Alice Torriani), che al termine dello spettacolo raccoglie i meritati applausi e chiama sul palco Ferracchiati, che ci regala anche il brivido di una quasi caduta scendendo dalle scale. Dubito fosse voluta.
Voto: 3,5/5
giovedì 7 novembre 2019
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