giovedì 3 ottobre 2019

Martin Eden

Dopo aver letto diversi articoli e aver ascoltato i commenti di vari amici che già erano andati a vederlo, sono finalmente riuscita a recuperare il film di Pietro Marcello, Martin Eden.

Il film è liberamente tratto dal romanzo omonimo di Jack London, cui Pietro Marcello resta piuttosto fedele nell'intreccio narrativo, scegliendo invece di emanciparsene sotto altri punti di vista, per esempio a livello di ambientazione geografica e cronologica.

La storia del marinaio Martin Eden (un bravissimo, soprattutto nella prima parte, Luca Marinelli, non a caso vincitore della Coppa Volpi a Venezia) viene infatti traslata da San Francisco a Napoli e collocata in una dimensione parzialmente atemporale, dal momento che le immagini del film, sia quelle di repertorio sia il girato, sembrano muoversi con una certa libertà dal primo al secondo Novecento fin quasi ad arrivare alla contemporaneità.

Più in generale - come è stato notato anche da Boille su Internazionale - il film di Pietro Marcello punta a superare e abbattere ogni confine, sparigliando continuamente le carte di fronte all'attonito spettatore, che non solo viene lasciato senza punti di riferimento ma volutamente spiazzato ogni volta che si adagia troppo all’interno di una narrazione riconoscibile e tranquillizzante.

Questo effetto shock opera fin dal principio, come si può constatare all’avvio dei titoli di testa quando la canzone di sottofondo suona quasi stonata rispetto all’atmosfera del film che sta prendendo vita sullo schermo. Da lì in poi le sorprese non mancano: immagini di repertorio provenienti da epoche diverse (i primi del Novecento, ma anche gli anni Cinquanta e Sessanta) fanno da contrappunto al girato, in alcuni casi risultando chiaramente riconoscibili, in altri casi diventando parte integrante della sequenza rappresentata (come quando Martin Eden cammina per strada e le immagini mostrano volti di persone che presumibilmente egli incrocia con lo sguardo); talvolta è il girato stesso, con la sua grana grossa, i suoi colori pastello e lo stile quasi pittorico, a spacciarsi per una pellicola proveniente da chissà quale passato.

Anche la colonna sonora che accompagna la narrazione continua a riservare sorprese: si passa così senza soluzione di continuità da Piccerè di Daniele Pace a Debussy, da Rain di John Winston fino ad arrivare a Voglia ‘e turnà di Teresa De Sio, producendo effetti di sicuro straniamento nello spettatore.

Come è stato detto da più parti, è come se il film di Marcello puntasse a essere una summa di stili, di linguaggi, di sperimentazioni volta a sintetizzare un intero secolo attraverso la figura di Martin Eden, il marinaio proletario senza istruzione che si innamora di Elena (Jessica Cressy), la figlia di una famiglia colta e aristocratica, e sogna di diventare scrittore. Nella sua lotta per la propria emancipazione, basata su una volontà ferrea e un grande amore per i libri e la lettura, Martin vive varie vicissitudini e incontra numerose persone che saranno più o meno determinanti per il proprio destino, mentre intorno a lui la società è percorsa da un potente vento socialista che spinge gli operai a organizzare azioni collettive per sovvertire il potere dei padroni. La sua parabola lo condurrà prima all’allontanamento da Elena e al radicamento in posizioni anticapitalistiche di matrice spenceriana, alfine al successo e alla fama, che porteranno però con sé una rabbia profonda e una disillusione potente di fronte alle storture dell’ambiente letterario, fino al ritorno a quel mare da cui proviene.

È uno strano film quello di Pietro Marcello: non posso dire che mi sia piaciuto in senso stretto, però certamente si tratta di un’esperienza cinematografica originale, capace di non confondersi nella miriade di prodotti standardizzati e conformisti che il cinema contemporaneo ci propina in gran quantità.

Voto: 3,5/5

2 commenti:

  1. A me è piaciuto molto proprio per aver messo in scena questa storia "senza tempo", senza riferimenti cronologici, universale a tutte le latitudini. Un film italiano di ampio respiro, dove il suo regista non si è "svenduto" al mainstream ed ha realizzato un prodotto molto personale, restando coerente con la sua produzione.

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    1. Sono d'accordo con te nella sostanza. Razionalmente anche io lo valuto così. Parlo solo di gusto personale.

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