venerdì 16 agosto 2019

Disobbedienza / Naomi Alderman

Disobbedienza / Naomi Alderman; trad. di Maria Baiocchi. Milano: nottetempo, 2018.

Dopo aver visto il film di Sebastian Lelio, come spesso mi accade quando la sceneggiatura è tratta da un romanzo, mi è venuta voglia di leggere l'opera originale. In questo caso si tratta dell'omonimo romanzo di Naomi Alderman, recentemente riedito da nottetempo con la traduzione di Maria Baiocchi.

Ovviamente quando si legge un libro di cui si è visto il film, si va inevitabilmente alla ricerca delle differenze, soprattutto dal punto di vista narrativo.

Leggendo il romanzo, almeno fino alla metà si ha la sensazione che Lelio sia stato molto fedele alla narrazione originale e si sia concesso solo qualche variante narrativa tutto sommato trascurabile (penso al fatto che è Dovid e non Esti a chiamare Ronit a New York per informarla della morte del padre, o al fatto che a New York Ronit fa l'analista finanziaria e non la fotografa, e ha una storia con un uomo sposato che è anche il suo capo e non storie occasionali, al fatto che Fruma la moglie di Hartog sia un personaggio negativo e sgradevole e non affettuoso verso Ronit).

Man mano però che la lettura procede diventano sempre più evidenti le differenze tra il punto di vista del regista e quello della scrittrice. Lelio si concentra sul rapporto tra Ronit ed Esti: l'una da sempre ribelle di fronte all'ortodossia ebraica e fuggitiva rispetto alla chiusura dell'ambiente di provenienza, l'altra che ha fatto invece la scelta di restare e di trovare una propria strada e serenità nella comunità ebraica di Hendon, dove ha sposato Dovid, l'amico comune avviato a diventare rabbino dopo la morte di Rav Krushka. Il regista utilizza l'incontro tra Ronit ed Esti come l'occasione per riportare alla luce i sentimenti tra le due e la fatica di Esti nello scegliere l'ortodossia. Il film di Lelio racconta un percorso di liberazione e di ricerca della propria libertà individuale di fronte a qualunque condizionamento e per questo non può che far trionfare l'amore tra Ronit ed Esti.

Il racconto della Alderman è invece molto più complesso e meno lineare. Innanzitutto è necessario prestare attenzione alle scelte stilistiche e narrative della scrittrice. Ogni capitolo è infatti organizzato in tre parti: c'è una citazione da un testo sacro ebraico che viene spiegata e interpretata nell'ottica dell'ortodossia ebraica. Il tema sollevato e la relativa interpretazione sono la chiave di lettura delle vicende che seguono e che vengono narrate in terza persona, facendo sviluppare la storia. L'ultima parte del capitolo, identificata anche da un font diverso, riporta i pensieri e le riflessioni di Ronit in prima persona, il suo punto di vista e la sua lettura delle cose. La religione ebraica nel romanzo non è solo un ostacolo e una costrizione, bensì un fattore inestricabilmente intrecciato con le vite individuali, compresa quella di Ronit, come lei stessa ammetterà e chiarirà nelle pagine finali dicendo che c'è qualcosa di simile tra l'essere ebreo ed essere gay, ossia che entrambe le condizioni non sono una scelta, ma un dato di fatto con cui giocoforza bisogna confrontarsi.

E così, rispetto allo sviluppo narrativo del film che va nella direzione dell'inevitabile rottura per poter essere sé stessi, il libro ci descrive scelte molto meno dirompenti e forse anche meno comprensibili, una specie di ribellione interna che Esti sceglie come strada opposta e speculare a quella intrapresa da Ronit. Esti decide di restare, ma rompe il silenzio della sua comunità costringendo tutti a fare i conti con la verità. D'altra parte Ronit dovrà confrontarsi con il fatto che anche la sua vita a New York non è perfetta solo perché è la negazione dell'ortodossia ebraica, bensì richiede anch'essa impegno e spirito di costruzione.

Se il film di Lelio era liberatorio e per questo pacificante, il romanzo della Alderman è destabilizzante e riconciliante in modo inaspettato e forse anche non facile da accettare.

Come spesso accade, la forza dei libri - ovviamente di quelli buoni - sta nel sollevare domande più che nel dare risposte, e nel costringerci ad assumere un punto di vista altro, che in molti casi non ci appartiene e che proprio per questo ci mette silenziosamente in discussione e forse ci fa uscire un pochino dalla nostra comfort zone.

Voto: 4/5

Nessun commento:

Posta un commento

Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!