Visualizzazione post con etichetta nottetempo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta nottetempo. Mostra tutti i post

venerdì 24 marzo 2023

La vita anteriore / Mirko Sabatino

La vita anteriore / Mirko Sabatino. Milano: nottetempo, 2021.

Siamo nel foggiano. Ettore, il protagonista di questo romanzo, nasce nel 1977 da una giovane donna, Marina, e un ragazzo che sparisce proprio il giorno della nascita e che suo figlio cercherà per tutta la vita. La vita anteriore non è però una storia individuale, bensì familiare, quella della famiglia Maggio le cui vicende saranno determinanti per il destino di Ettore e diventeranno oggetto della sua ossessione per la scrittura.

Si parte dunque con la storia di Ottavio Maggio, padre di tre figlie di cui una è Marina, nonno innamorato fin dal principio del nipote Ettore, gestore di una pasticceria intorno alla quale ruoteranno i destini di molti componenti di questa famiglia. L'incidente che toglie a Ettore il nonno lega in maniera indissolubile la sua vita e il suo futuro a quelli di Bruno, il bambino che nello stesso incidente perde i genitori, e ben presto conduce sulla stessa traiettoria Irene, amica prima e poi oggetto dell'amore di entrambi.

Il libro di Sabatino è una storia di destini e coincidenze, nel quale il tempo fa il suo giro per tornare infine a chiudere il cerchio.

Non posso dire che non mi sia piaciuto e che non l'abbia letto con trasporto e interesse. Ma - pur affascinante nella scrittura - l'ho trovato narrativamente poco credibile e un po' artificioso. Ma questo potrebbe anche non essere un difetto perché non è necessariamente la verosimiglianza che cerchiamo nei romanzi.

Il fatto è che la storia non mi ha toccato davvero sul piano emotivo, non ha risuonato con la mia vita. E dunque mi sono accorta che già a distanza di pochi giorni dal termine della lettura mi era rimasto davvero troppo poco: qualche sensazione e qualche dettaglio narrativo, ma non molto di più.

Voto: 3/5

lunedì 5 dicembre 2022

La cronologia dell'acqua / Lidia Yuknavitch

La cronologia dell'acqua / Lidia Yuknavitch; trad. di Alessandra Castellazzi. Milano: nottetempo, 2022.

Non avrei mai scoperto questo libro se non fosse stato per la brava libraia della libreria Skribi di Conversano, sempre prodiga di suggerimenti non scontati e di spunti interessanti.

La cronologia dell'acqua è il romanzo autobiografico di Lidia Yuknavitch, ma non vi aspettate qualcosa di banale e prevedibile. E non parlo solo della storia raccontata - e la vicenda umana della Yuknavitch è tutt'altro che banale - ma anche del modo in cui viene narrata. Vi dico solo che Lidia - come lei stessa racconta - viene da un corso di scrittura tenuto da un Ken Kesey non più giovanissimo (l'autore di Qualcuno volò sul nido del cuculo e di A volte una bella pensata), e tra i suoi colleghi (e poi anche amici) c'è Chuck Palahniuk. Anche solo con queste premesse è inevitabile aspettarsi che la scrittura di Lidia sia originale e fuori dagli schemi.

Il racconto si articola in brevi capitoli che non seguono necessariamente un ordine cronologico, anzi prende avvio dall'evento probabilmente più traumatico della vita della scrittrice, la morte in pancia di sua figlia, per poi andare alla ricerca delle sofferenze, delle gioie, dei dolori e delle strategie adottate dall'infanzia fino all'età adulta. Lidia ha un padre abusante, una madre alcolista e poco protettiva, una sorella che ama ma che va via di casa alla prima occasione, e soprattutto una grande passione: l'acqua, che attraverso il suo talento come nuotatrice le darà l'occasione di una borsa di studio per uscire dalla casa paterna. In quel momento però Lidia è a pezzi e finisce per sfasciarsi ulteriormente: droghe, alcol, matrimoni falliti, amori e sesso più o meno estremi, eccessi di vario genere, che le sottraggono anche le occasioni che la vita le offre. La scrittura - come l'acqua - attraversa tutti questi momenti, e nel leggere questo romanzo vediamo questa scrittura mimetizzarsi con lo stato d'animo della protagonista sia nel ritmo che nei costrutti, tra l'altro oscillando tra l'essere fortemente esplicita e l'essere profondamente riservata.

Saranno l'incontro con Andy prima e la nascita del figlio Miles dopo ad aiutarla a curare le proprie ferite, ad avere compassione verso sé stessa, a non autoinfliggersi sofferenze e punizioni, e a consentirle di ritrovare una centratura e un equilibrio, a loro volta certamente unici e originali, ma in cui Lidia ritrova sé stessa e riesce persino a dare un senso e a fare pace con il passato.

Quello della Yuknavitch è un libro sicuramente potente, e al di là del fatto che si siano vissute o meno esperienze così forti come le sue non è difficile empatizzare con la protagonista ed entrare in risonanza con i suoi stati d'animo. Per me questo effetto ha funzionato a fasi alterne: a volte mi sono sentita più coinvolta, altre volte più distante, ma non ho mai smesso di apprezzare la brutale sincerità con cui la scrittrice si dà in pasto al lettore.

Alla fine della lettura - come spesso mi accade nel caso dei libri autobiografici - mi chiedo dove attingerà a questo punto la sua scrittura; vero è che ci sono scrittori - vedi la Annie Ernaux - che hanno continuato a scrivere di vicende autobiografiche in tutti i loro libri senza ripetersi mai. Chissà se la Yuknavitch riuscirà a fare altrettanto.

Voto: 3,5/5

venerdì 16 agosto 2019

Disobbedienza / Naomi Alderman

Disobbedienza / Naomi Alderman; trad. di Maria Baiocchi. Milano: nottetempo, 2018.

Dopo aver visto il film di Sebastian Lelio, come spesso mi accade quando la sceneggiatura è tratta da un romanzo, mi è venuta voglia di leggere l'opera originale. In questo caso si tratta dell'omonimo romanzo di Naomi Alderman, recentemente riedito da nottetempo con la traduzione di Maria Baiocchi.

Ovviamente quando si legge un libro di cui si è visto il film, si va inevitabilmente alla ricerca delle differenze, soprattutto dal punto di vista narrativo.

Leggendo il romanzo, almeno fino alla metà si ha la sensazione che Lelio sia stato molto fedele alla narrazione originale e si sia concesso solo qualche variante narrativa tutto sommato trascurabile (penso al fatto che è Dovid e non Esti a chiamare Ronit a New York per informarla della morte del padre, o al fatto che a New York Ronit fa l'analista finanziaria e non la fotografa, e ha una storia con un uomo sposato che è anche il suo capo e non storie occasionali, al fatto che Fruma la moglie di Hartog sia un personaggio negativo e sgradevole e non affettuoso verso Ronit).

Man mano però che la lettura procede diventano sempre più evidenti le differenze tra il punto di vista del regista e quello della scrittrice. Lelio si concentra sul rapporto tra Ronit ed Esti: l'una da sempre ribelle di fronte all'ortodossia ebraica e fuggitiva rispetto alla chiusura dell'ambiente di provenienza, l'altra che ha fatto invece la scelta di restare e di trovare una propria strada e serenità nella comunità ebraica di Hendon, dove ha sposato Dovid, l'amico comune avviato a diventare rabbino dopo la morte di Rav Krushka. Il regista utilizza l'incontro tra Ronit ed Esti come l'occasione per riportare alla luce i sentimenti tra le due e la fatica di Esti nello scegliere l'ortodossia. Il film di Lelio racconta un percorso di liberazione e di ricerca della propria libertà individuale di fronte a qualunque condizionamento e per questo non può che far trionfare l'amore tra Ronit ed Esti.

Il racconto della Alderman è invece molto più complesso e meno lineare. Innanzitutto è necessario prestare attenzione alle scelte stilistiche e narrative della scrittrice. Ogni capitolo è infatti organizzato in tre parti: c'è una citazione da un testo sacro ebraico che viene spiegata e interpretata nell'ottica dell'ortodossia ebraica. Il tema sollevato e la relativa interpretazione sono la chiave di lettura delle vicende che seguono e che vengono narrate in terza persona, facendo sviluppare la storia. L'ultima parte del capitolo, identificata anche da un font diverso, riporta i pensieri e le riflessioni di Ronit in prima persona, il suo punto di vista e la sua lettura delle cose. La religione ebraica nel romanzo non è solo un ostacolo e una costrizione, bensì un fattore inestricabilmente intrecciato con le vite individuali, compresa quella di Ronit, come lei stessa ammetterà e chiarirà nelle pagine finali dicendo che c'è qualcosa di simile tra l'essere ebreo ed essere gay, ossia che entrambe le condizioni non sono una scelta, ma un dato di fatto con cui giocoforza bisogna confrontarsi.

E così, rispetto allo sviluppo narrativo del film che va nella direzione dell'inevitabile rottura per poter essere sé stessi, il libro ci descrive scelte molto meno dirompenti e forse anche meno comprensibili, una specie di ribellione interna che Esti sceglie come strada opposta e speculare a quella intrapresa da Ronit. Esti decide di restare, ma rompe il silenzio della sua comunità costringendo tutti a fare i conti con la verità. D'altra parte Ronit dovrà confrontarsi con il fatto che anche la sua vita a New York non è perfetta solo perché è la negazione dell'ortodossia ebraica, bensì richiede anch'essa impegno e spirito di costruzione.

Se il film di Lelio era liberatorio e per questo pacificante, il romanzo della Alderman è destabilizzante e riconciliante in modo inaspettato e forse anche non facile da accettare.

Come spesso accade, la forza dei libri - ovviamente di quelli buoni - sta nel sollevare domande più che nel dare risposte, e nel costringerci ad assumere un punto di vista altro, che in molti casi non ci appartiene e che proprio per questo ci mette silenziosamente in discussione e forse ci fa uscire un pochino dalla nostra comfort zone.

Voto: 4/5

mercoledì 23 marzo 2016

La questione più che altro / Ginevra Lamberti

La questione più che altro / Ginevra Lamberti. Roma: nottetempo, 2015.

Il romanzo di Ginevra Lamberti racconta le tragicomiche avventure della quasi trentenne Gaia, abitante di quella terra di nessuno che si estende tra Treviso e Venezia, laureatasi quasi a sua insaputa, in transumanza lavorativa (e non solo) tra un call center e un centro commerciale fino all'agognato contratto a tempo determinato presso l'Azienda (ossia una delle catene di ristorazione americane più famose al mondo), ospite regolare del Pronto Soccorso in preda ad attacchi di panico, alle prese con l'umorismo inappropriato del genitore e la solitudine della genitrice, nonché con le stramberie degli amici, come Norman, anche loro vaganti in questo limbo infinito tra adolescenza ed età adulta.

Gaia racconta la sua vita come se stesse parlando con i suoi amici di sempre, con un linguaggio quasi parlato, con le subordinate trasformate in proposizioni dirette senza essere virgolettate, e lo fa senza un ordine cronologico preciso, cosicché spesso ci anticipa cose che saranno chiare solo più avanti, ovvero apre delle parentesi e delle divagazioni che interrompono il filo del discorso e spesso non lo riprendono più.

Il mondo di Gaia è un mondo che, per certi versi, è fortissimamente caratterizzato sul piano geografico e culturale, per altri invece è universalmente riconoscibile. È un mondo assurdo che inevitabilmente ci fa ridere e sorridere, ma nello stesso tempo è costantemente venato da una malinconia che a volte si fa dramma e tragedia, pur senza apparire esplicitamente come tale.

La questione più che altro è un perfetto prodotto del nostro tempo, e ancor di più un perfetto prodotto di quella generazione (trentenni circa) che nell'ironia critica – a volte un po' cinica, altre volte quasi tenera – ha trovato l'unico strumento non tanto per comprendere, quanto per accettare una realtà non certo piena di prospettive luminose e incoraggianti, nonché una condizione personale il cui disagio viene sublimato in parola, scrittura, disegno, musica.

Il romanzo di Ginevra Lamberti mi è sembrato la versione letteraria e del Nord-Est della poetica romana e fumettistica di Zerocalcare. Stessa capacità di penetrare nelle cose e di raccontare con ironia e semplicità verità che sono sotto gli occhi di tutti, ma che questi giovani-non-più-giovani sembrano vedere con più acume, con i sensi quasi più sviluppati.

E forse è anche per questo che del romanzo della Lamberti non mi sono piaciute le stesse cose che talvolta trovo respingenti in Zerocalcare, ossia una forma di umile compiacimento nella ricerca della trovata geniale e dell'ironia originale.

Non si può però negare che questi autori rappresentino una nuova realtà che si esprime in diversi ambiti e che in qualche modo sta creando un linguaggio e una modalità di lettura del mondo totalmente originali e al contempo riconoscibili.

Voto: 3,5/5